sabato 15 aprile 2006

Giuseppe Sermonti e la longevità

Sul Foglio di oggi si legge un articolo del decano degli antievoluzionisti italiani, Giuseppe Sermonti. Stavolta l’illustre genetista non se la prende con Darwin, ma con i propri colleghi che studiano il meccanismo dell’invecchiamento, sperando di poterlo un giorno controllare a piacimento («I genetisti che promettono una maggiore longevità sono i nuovi ciarlatani», 15 aprile, p. 2). Sermonti inizia facendo alcune considerazioni sull’aumento dell’età media della popolazione italiana: si fanno meno bambini, si vive di più, e quindi se si va a fare la media dell’età che hanno gli abitanti del paese si scopre che essa è più elevata di un tempo («Basta una passeggiata ai giardinetti per accorgersene»). Poi Sermonti dà alcune cifre sull’aumento della vita attesa alla nascita, o vita media. A questo punto fa una strana considerazione:

La vita attesa alla nascita è aumentata, nello scorso secolo, per un fenomeno che nulla ha a che fare con la longevità. È un fenomeno dall’altra parte della vita: la bassa natalità e la quasi totale scomparsa della mortalità infantile (e, in minor misura, di quella giovanile). La longevità, cioè il punto d’arrivo, è cambiata di poco.
Il problema è che l’aumento della speranza di vita alla nascita non ha niente a che fare con la «bassa natalità». Sermonti ha confuso l’età media con la vita media: quest’ultima è la media delle età in cui le persone nate nello stesso anno moriranno. Se Gianni vivrà 70 anni in totale, la sua coetanea Giovanna 80, Enrico 90 e Carla 100, la speranza di vita alla nascita di questo gruppo è pari a 70+80+90+100/4, cioè 85 anni; e la durata media delle loro vite non sarà ovviamente influenzata dal numero delle persone nate nello stesso anno. In Italia nel 2001 l’età media della popolazione era di 40,1 anni per gli uomini e di 43,1 per le donne, la speranza di vita alla nascita invece di 76,7 anni per gli uomini e di 82,9 per le donne (dati Istat).
Dopo altre considerazioni Sermonti prosegue così:
ora abbiamo i genetisti, i quali ci promettono, con la complicità dei giornalisti: “Fra poco l’età media a cento anni grazie alle scoperte della genetica”. Sono genetisti di paesi emergenti, cervelli importati in Usa, che si avventurano in queste previsioni.
Qui è da notare la bizzarra sottolineatura della provenienza geografica dei genetisti «ciarlatani». Non oso avanzare congetture sul motivo che può aver spinto Sermonti a farla: lascio volentieri questo compito ai lettori. Torniamo all’articolo:
Il biologo Shripad Tuljapurkar ha annunciato, all’ultimo meeting della illustre American Association for the Advancement of Science a St. Louis, sulla base di statistiche ipotetiche, che la vita media aumenterà di almeno venti anni. Ma la vita media non è il traguardo della vita, è l’età media dei frequentatori di giardinetti.
Shripad ci annuncia un mondo di carrozzine vuote.
Qui Sermonti fa di nuovo confusione fra età media e vita media; sarebbe del resto assai strano per un genetista avanzare previsioni sull’età media dei frequentatori di giardinetti – persino, ne converrete, per un genetista «di paesi emergenti». Chiaramente, il Dr Tuljapurkar (che Sermonti lo conosca personalmente, visto che lo chiama per nome?) intendeva dire che i progressi della genetica potrebbero incrementare la vita media, facendo morire la gente più tardi di quanto non succeda ora.
Sermonti passa infine alle conclusioni:
Alla fin fine, che importa vivere più anni, se la misura della vita stessa è allungata? Vivere più a lungo (degli altri), quello sarebbe un privilegio; esplorare una vita che è concessa solo a pochi campioni.
E anche qui, bisogna ammetterlo, il ragionamento è un po’ bizzarro – tant’è vero che l’autore se lo rimangia alla riga seguente, per concludere poi che è meglio vivere poco ma intensamente. Il professore non me ne vorrà, spero, se dico che per parte mia preferirei vivere intensamente e a lungo; magari trasferendomi in uno dei paesi emergenti, quando il loro livello scientifico avrà finalmente superato quello italiano – se già non lo ha fatto...

1 commento:

Anonimo ha detto...

Dal sito dei creazionisti italiano
Evoluzionismo e società, il mito del progresso

L’evoluzionismo è fondamento di un altro mito della nostra società, il mito del progresso che nostra società rincorre da oltre due secoli nella speranza di potere risolvere i problemi dell’uomo tramite le scoperte scientifiche. Tramite la tecnica.

Tale speranza sembra in realtà essere confutata dal fatto che ancora oggi la nostra società è minata da molte manie: infatti se è vero che molte malattie sono state sconfitte grazie alla ricerca scientifica è anche vero che ne sono nate di nuove che probabilmente sono da accreditare alla stessa scienza/tecnica (A.I.D.S. – problemi respiratori -angosce– stress).

Dalla rivoluzione industriale ad oggi la nostra società corre come un treno impazzito verso un destino sconosciuto, seguendo la speranza che i problemi che mano a mano le nuove scoperte creano o creeranno saranno facilmente risolvibili con ulteriori scoperte. Scrive Cipolla:


“una volta imboccata la strada dell’idustrializzazione è impossibile tornare indietro e nemmeno ci si può fermare. Le macchine finiscono per dettare il ritmo dell’ulteriore obbligato progresso[3]


Massimo Fini nel suo libro la ragione aveva torto? termina in questo modo:


“la rivoluzione scientifica, la rivoluzione industriale, l’illuminismo (l’evoluzionismo) [4], furono uno slancio ottimistico dell’uomo, la rivolta contro la paura degli Dei e della natura, l’eterna paura che lo aveva sempre attanagliato e limitato, la ribellione alla paralisi, all’immobilismo, all’irrazionalità del mondo antico, ai dogmi, ad Aristotele, alla chiesa, agli scolastici, ai teologi cristiani e islamici. L’illuminismo nasce da un’impulso orgoglioso e generoso contro un conformismo durato da migliaia di anni. Ma, per un doloroso contrappeso, quel conformismo, quell’immobilismo, quella paralisi, le cui singole manifestazioni erano, o apparivano, irrazionali, nascondevano un nucleo di sapienza inestimabile, la sapienza della specie, che noi abbiamo distrutto e perduto per sempre…” terminando con queste parole “…la ragione aveva torto” [5].


È con Herbert Spencer che l’evoluzionismo si allarga all’ambito culturale e cosmologico.

Per Spencer il compito della filosofia è quello di interpretare la società basandosi sulla legge dell’evoluzione: è l’evoluzione che porta dalla materia da un’omogenità indefinita ed incoerente a una eterogeneità definita e coerente, mentre il movimento conservatore subisce una corrispondente trasformazione basandosi anch’esso su un progresso necessario. Spencer fu interessato ad elaborare una teoria generale del progresso umano e dell’evoluzione cosmica e biologica.

Da subito il suo modello interpretativo della società si basava sull’evoluzione, come progresso e come legge universale della vita e del cosmo.

Karl Popper ha definito questa società un mondo meraviglioso…la migliore società che la storia dell’umanità abbia mai conosciuto… la società più giusta, più ugualitaria, più umana della storia. Un’affermazione incauta che non considera le miriadi di contraddizioni in cui viviamo.

Ogni giorno, sfogliando i quotidiani leggiamo di sensazionali scoperte che riguardano la vita di noi tutti. Ad esempio il professore Boncinelli, presidente del S.I.SS.A.[6] recentemente ha dichiarato:

“ arriveremo presto ad una vita media di 100 anni” per poi spiegare “ allo stato di natura l’uomo vivrebbe 20–25 anni. Nell’ultimo secolo la vita umana si è allungata del 30%... ” [7].

Torna la speranza di vivere all’infinito. Di sconfiggere la morte. Ma siamo sicuri che in passato l’uomo quando moriva di vecchiaia non moriva attorno ai 75 anni? Anche al giorno d’oggi in Italia chi vive maggiormente non abita nei grandi centri urbanizzati, nelle metropoli ma nei paesini della Sardegna, dove ancora la società moderna ha difficoltà ad imporsi.

Inoltre i dati storici rilevabili dimostrerebbero che la speranza di vita massima non era molto differente da oggi, Pierre Chaunu scrive:

“ la medicina moderna non ha ancora aggiunto un pollice alla vita umana: si moriva a novant’anni nelle campagne del settecento e Fontenelle e Las Casas e tanti altri testimoniano la longevità straordinaria di alcuni dominanti” [8].

In Borgogna nel 1786 vengono indicate 72.000 persone di età compresa fra i sessanta e cent’anni su un totale di un milione circa di abitanti.[9]

Lo sbaglio nasce dalla confusione tra vita media e vita effettiva. Lo stesso Dante Alighieri all’inizio del suo capolavoro ci dà delle indicazioni sulla speranza di vita iniziando con queste parole la sua Divina Commedia:

“in mezzo di cammin di nostra vita”

e fissando quindi a trentacinque anni la sua età nel momento in cui iniziò il capolavoro, indicando che l’esistenza normale di un individuo fosse di settant’anni.

Oggi la scienza è arrivata a manipolare i nostri cibi modificandoli geneticamente introducendo geni di un specie nel dna di un’altra specie. Questa manipolazione non sappiamo se produca solo benefici (esempio l’aumento di resistenza al freddo di una specie manipolata) o se in realtà possa produrre anche dei problemi a chi ne fa uso. L’ogm viene (per fortuna oggi i Italia non è ancora possibile) messo in commercio senza un’adeguata sperimentazione.

La volontà di intervenire su una specie (frutta e verdura) credendo che si possa migliorare da cosa nasce se non dalla certezza che le specie siano in continua evoluzione?

Chi crede nell’evoluzionismo è anche convinto che si possa intervenire direttamente in ogni specie per il suo miglioramento genetico e che facendolo non si fa altro che anticipare la natura.

All’università di Urbino all’esame di metodologia della scienza umana viene dato da leggere un libro in cui si legge “ se la natura può preparare manuali di istruzione, come le molecole di dna, anche l’uomo può farlo, sia manipolando il dna, sia mediante altre molecole, sia con microchip informatici”[10], continuando “in un prossimo futuro si potrà inserire un chip nel cervello e connetterlo, mediante neuroni, alle varie funzioni celebrali, che saranno così collegate a megacomputer e banche dati….” Una prospettiva allucinante in cui l’uomo piano piano verrebbe “trasformato” in una macchina artificiale. [11]

Molti pensano che la scienza non riguardi il campo della vita vissuta, che non interferisca con le scelte dell’uomo e della società ma Harun Yahya nel suo libro dal titolo L’inganno dell’evoluzione scrive:


”i danni del materialismo non sono limitati soltanto agli individui, in quanto esso mira anche ad abolire i valori di base sui quali poggiano lo Stato e la società, generando quindi una collettività insensibile e senz'anima, interessata unicamente alla materia. Poiché i membri di una simile società sono destinati a restare privi di qualsivoglia nozione idealistica, quale il patriottismo, l'amore per il proprio popolo, la giustizia, la lealtà, l'onestà, il sacrificio, l'onore, oltre che dei beni morali, l'ordine sociale costituito da siffatti individui è condannato a dissolversi in un breve lasso di tempo. Per queste ragioni, il materialismo rappresenta una delle più terribili minacce ai valori fondamentali dell'ordine politico e sociale di una nazione” [12].

Massimo Lanzavecchia nel suo libro in difesa della scienza scrive:

”mentre la natura va avanti a tentoni, con bricolage molecolari di Jacob e la selezione evolutiva di Darwin, l’uomo fissa e persegue via via obbiettivi sempre più precisi che coinvolgono la natura stessa, l’ambiente, la specie, i valori, il pensiero, l’etica ” [13].

Questo modello di pensiero che si rifà direttamente all’illuminismo e al positivismo è convinto che presto o tardi la scienza risolverà tutti i problemi materiali dell’uomo. Anche se ciò avvenisse, ma con i risultati che abbiamo oggi è molto improbabile, l’uomo non è solo materia ma ha anche esigenze di carattere spirituale e questo modello di società che vuole evolvere verso un ipotetico paradiso materiale non è in grado di risolverli.

La scienza fa nuove scoperte, elabora la mappatura del genoma umano, ma poi scopriamo che le mucche sono diventate pazze, che gli esseri viventi sono clonabili, che si può intervenire geneticamente sull’uomo e la natura.

Questa perfezione non si intravede e se la scienza compie nuove scoperte che risolvono molti problemi, allo stesso tempo ne crea di nuovi, e così la nostra società vive in un’angoscia perpetua e diviene normale che cinquantasei americani su cento facciano uso abituale di psicofarmaci, che più di quaranta milioni di Europei ogni anno si rivolgano a sette, a maghi e fattucchiere, a guaritori, a veggenti e quant’altro.

Oltre il quarantotto per cento della popolazione americana e europea ha terrore del futuro.

L’insicurezza dell’uomo moderno davanti ad una società che promette un continuo benessere in evoluzione per poi creargli le più tremende angosce sulla sia esistenza è sotto gli occhi di tutti.

Il mito del progresso, che si avvale dell’ipotesi che noi uomini tramite la scienza e la tecnica si sia in grado di risolvere tutto intervenendo sulla natura, violentandola e soggiogandola, è il frutto di una visione e una speranza di una società in continua evoluzione verso il bene comune che presto o tardi verrà raggiunto.

Purtroppo anche sotto l’aspetto materiale questo traguardo è sempre molto lontano, anzi, probabilmente sarà sempre irraggiungibile.

Un grande pensatore del XX secolo scrisse a riguardo dell’evoluzionismo di Darwin e di Spencer

"ciò che mi sorprende nel contemplare i grandi destini dell’uomo è di vedere davanti ai miei occhi sempre il contrario di ciò che oggi vede e vuole vedere Darwin con la sua scuola",

il pensatore è colui che più di tutti ha criticato questo modello di società e che con la sua “teoria” [14] dell’eterno ritorno ha dato un’impostazione contro il progresso, ovviamente parlo di Nietzsche.

Tra evoluzionismo e progresso vi è un rapporto inscindibile.

Fabrizio Fratus