martedì 9 maggio 2006

La Chiesa e Il Codice da Vinci

Manca ormai poco al 19 maggio, quando nelle sale di tutto il mondo uscirà il film di Ron Howard tratto dal Codice da Vinci di Dan Brown, e le proteste degli ambienti cattolici crescono di intensità: il giornale dei vescovi italiani, Avvenire, invita al boicotaggio del film, divulgando l’interpretazione autentica delle espressioni un po’ sibilline di monsignor Angelo Amato, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, e nel numero del 4 maggio dedica al Codice l’inserto settimanale solitamente riservato a temi di bioetica. Proponiamo allora anche noi qualche riflessione sulla vicenda.

1. Il boicottaggio lede in qualche modo la libertà di espressione? Chiunque può naturalmente rifiutare per sé e sconsigliare agli altri la lettura di un libro o la visione di un film: è un’espressione del fondamentale diritto di critica, e rientra nel funzionamento normale di tutti i mercati, compreso quello culturale. In questo senso, la Chiesa non attenta certo alla libertà degli autori. Se tuttavia il boicottaggio dovesse assumere come obiettivo quello di punire gli autori e i distributori del film (e di costituire un deterrente contro casi analoghi in futuro), per esempio invitando a non vedere altri film diretti da Ron Howard o prodotti dalla Sony Pictures e a non frequentare più i cinema che hanno proiettato la pellicola, in questo caso esso si configurerebbe in pieno come un attacco diretto alla libertà di espressione. Applicare una sanzione legale potrebbe risultare difficile, per il rispetto dovuto a quella stessa libertà, ma la sanzione morale sarebbe più che meritata. Per fortuna non siamo ancora giunti a questo, anche se su Avvenire si cita con evidente compiacimento il precedente dell’Ultima tentazione di Cristo di Scorsese, contro il quale si scatenò una gigantesca campagna di intimidazione (Elena Molinari, «Il precedente degli Usa disinibiti e liberal»).
Nel frattempo, il cardinale Francis Arinze ha invitato i fedeli a ricorrere a imprecisate vie legali contro il libro e il film:

This is one of the fundamental human rights: that we should be respected, our religious beliefs respected, and our founder Jesus Christ respected.
Qui non ci sono margini per il dubbio: lamentare l’offesa alla propria sensibilità è da sempre uno dei pretesti preferiti dai nemici della libertà di espressione.

2. Un aspetto della vicenda che colpisce è l’evidente sfiducia delle autorità ecclesiastiche nella capacità di spiegare le proprie verità. Nonostante una fitta rete di oratori e la presenza degli insegnanti di religione nel cuore della stessa scuola pubblica, si invita subito al boicottaggio prima ancora di tentare un’opera di divulgazione. Afferma monsignor Amato:
bisogna considerare l’estrema povertà culturale di buona parte dei fedeli cristiani, che spesso non sanno dare le ragioni della propria speranza. Non si può spiegare diversamente lo strano successo di un romanzo pervicacemente anticristiano, come il “Codice Da Vinci”
Eppure coloro che più probabilmente seguiranno l’invito a disertare le sale sono proprio i fedeli più osservanti, quelli che di norma conoscono meglio il catechismo! La gigantesca macchina di trasmissione culturale appare completamente inceppata – anche se nel caso particolare conta in parte anche il ritardo secolare con cui la Chiesa si è aperta alla conoscenza storico-critica delle Scritture, che qui sarebbe tornata preziosa (quella che Dan Brown propone non è in effetti che pseudostoria a buon mercato).

3. Ma il risvolto di gran lunga più interessante è costituito dall’elaborazione di una vera e propria sindrome del complotto. Non penso tanto alle fantasie di un intellettuale cattolico come Franco Cardini, che nel successo del libro di Dan Brown vede la punizione del Vaticano ad opera dei falchi della Casa Bianca, che si sarebbero vendicati in questo modo dell’opposizione alla guerra in Iraq; queste sono elaborazioni rappresentative piuttosto dell’area culturale della Destra Tradizionale antiamericana e in parte filoislamica – paleocon, potremmo definirla – di cui Cardini è il rappresentante forse più autorevole. Penso invece per esempio a quanto scrive, sempre su Avvenire del 4 maggio, Mario A. Iannaccone («L’ansia del complotto fa marketing»), che mi pare rappresentativo di certi umori diffusi:
Questo bestseller anticristiano non è però un innocente divertimento letterario ma una provocazione religiosa da milioni di copie, lanciato con un marketing aggressivo. E non si può neppure sostenere che il romanzo del sorridente professore americano sia viziato dagli errori d’un “ignorante”. No: è stato volutamente progettato come una moderna variazione dei «Protocolli dei Savi di Sion», levigata da accorti editor. Come lì, anche qui c’è il cinico complotto di un gruppo di potere fondato su menzogne sistematiche, e il falso che si pretende veritiero sia pur dietro il velo dell’invenzione letteraria. Non si creda dunque agli “errori” del Codice, perché troppi “errori” equivalgono a nessuno.
Si noti la frase «il cinico complotto di un gruppo di potere fondato su menzogne sistematiche»: essa (se capisco bene) si riferisce al ruolo della Chiesa nell’universo narrativo del Codice da Vinci, ma potrebbe benissimo descrivere (e da qui la sua leggera ambiguità) l’operazione che ha dato vita al romanzo «volutamente progettato» e ripieno di «troppi “errori”». Iannaccone, paradossalmente, abbozza qui una trama complottistica che tende a ricalcare quella del Codice. Ma mentre il romanzo di Brown gioca col fascino del complotto, che vellica il lettore con la gratificazione vicaria di vedere in azione un potere segreto e quindi quasi illimitato (ma che si sa fittizio o comunque remoto), la trama romanzesca di Avvenire si fonda sulla paura di un complotto che si considera fin troppo reale.
Storicamente, il complottismo è stato spesso il mezzo con cui una classe sociale strutturalmente precaria – in Occidente tipicamente la piccola borghesia – ha espresso faute de mieux l’angoscia di trovarsi schiacciata tra una massa che ambisce a impadronirsi dei suoi più o meno modesti privilegi e una élite di potere che viene percepita come collusa con quella. Allo stesso modo, la Chiesa oggi si figura accerchiata da una élite ‘relativista’ e da una massa damnationis che insegue la soddisfazione dei propri istinti; e reagisce come spesso ha reagito chi si è creduto perseguitato da un complotto: con il vittimismo aggressivo.
Esiste, credo, una controprova lampante di quanto qui si dice. L’Opus Dei, che pure è la vittima principale del romanzo di Brown, non solo non è ricorsa al piagnucolio autocommiserativo, alle proposte di boicottaggio o alle denunce per diffamazione, ma si è mostrata particolarmente conciliativa, anzi ha sfruttato la pubblicità ricevuta tramite il romanzo per farsi conoscere più largamente. E l’Opus Dei è, tra le strutture della Chiesa cattolica, una delle poche vitali e in espansione. Chi si sente soggetto della Storia non è incline a sognare complotti a proprio danno.

4. In conclusione: il Codice da Vinci ha agito da modesta cartina di tornasole per rivelarci una Chiesa indebolita e spaventata. Dopo la fine dell’illusione massmediatica del precedente pontificato, il Vaticano è pervaso sempre più dal pessimismo del nuovo pastore; tentato dalle sirene neo- e teocon – cioè, in sostanza, da quella parte delle élite internazionali che provano a far dimenticare le contraddizioni interne ai loro paesi ricorrendo alla paura del nemico esterno – rischia di farsi ridurre a cappellania militare di armate ben poco credenti. Uno sfruttamento molto più pericoloso di quello operato dal modesto Dan Brown, che col suo bestseller di nessuna qualità – se non quella di ipnotizzante page turner – si è fatto ricco a spese di una istituzione millenaria e moribonda.
«Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi» (Luca 17,37).

Aggiornamento: una recensione del film fatta da un esperto di storia del giudaismo, James R. Davila, chiarisce come il Codice Da Vinci di Ron Howard eviti alcuni degli errori storici del libro, e come assolva il Vaticano da complicità nella trama. La reazione della Chiesa – o della sua parte non pensante – si rivela sempre di più come un clamoroso faux pas.

Aggiornamento 2: Franco Cardini sfuma un poco la sua ipotesi complottistica (che conoscevo attraverso un articolo di Gian Enrico Rusconi, «Maddalena dello scandalo», La Stampa, 30 aprile 2006) nel corso di una trasmissione radio, «Il Codice Da Vinci», Sinai, GR Parlamento, 19 maggio 2006.

2 commenti:

michele ha detto...

Può darsi che ci sia del vittimismo - anche se non mi pare affatto aggressivo, basti aver visto certi dibattiti in tv (quelli sono la cultura popolare, a larga diffusione, non l'appello isolato di un vescovo o addirittura di un papa).
In questi dibattiti l'apologeta cattolico di turno si perita come al solito a spingersi troppo in là, forse perché troppo impegnato a fare il diplomatico.
O forse è affetto da sensi di colpa. Perché vedi, è giusto mettere in guardia contro il vittimismo, ma il continuo martellamento anticlericale (e nel caso di dan Brown anche anti-evangelico) non favorisce aperture e serene prese di coscienza.
Se si continua a ribattere sull'oscurantismo, l'inquisizione, le crociate, galileo, l'emarginazione della donna (che ci sono state, perché la Chiesa è fatta di esseri umani, e il mondo laico e laicizzato non ha certo fatto di meglio) è chiaro che si mette la faccenda sul piano del confronto, del processo, di un sistema di accusa-difesa.
Se il cosiddetto "mondo laico" con tutta la sua apertura mentale, senso liberale e serenità di giudizio seguita ad arroccarsi sulle proprie posizioni, che senso ha accusare la Chiesa di fare lo stesso?
Il detto della pagliuzza e della trave spesso viene ritorto contro la Chiesa, ma è un detto che coinvolge tutti, non solo una delle due parti in causa.

michele



michele

MyWay ha detto...

ciao!
ho trovato il tuo blog per caso...
ti aspetto sul mio...se ti interessa ho lanciato una provocazione sul codice da vinci!
ciao e grazie

unaletteradalpassato.blogspot.com