lunedì 31 luglio 2006

Elio Sgreccia, Norimberga e l’ipocrisia

Avevamo ignorato il parere di Sgreccia a proposito della questione dei finanziamenti comunitari da destinare alla ricerca sulle staminali embrionali, ma questa mattina un titolo in Passi nel Deserto ha attirato la mia attenzione e mi ha quasi imposto di aggiungere qualche commento. Staminali: Vaticano, con la nuova legge siamo tornati a prima di Norimberga (in un post successivo si può ascoltare una intervista a Sgreccia sulle staminali).
La mozione Finocchiaro ha tolto l’Italia da una situazione davvero incresciosa: la dichiarazione etica, patto stipulato insieme a cinque altri Paesi Eu contro la finanziabilità con fondi comunitari alle ricerche contrarie all’etica (una certa etica). Secondo Sgreccia saremmo tornati indietro, a prima di Norimberga. Ovvero? Ovvero, spiega, “nella situazione cioè in cui si faceva ricerca sui bambini indifesi, poiché malati gravi, e la si faceva senza il bisogno di nessuna autorizzazione medica”.
Il richiamo al fantasma hitleriano è onnipresente nei dibattiti su ricerca, eutanasia e in generale sugli avanzamenti delle biotecnologie. Il paragone però è fuori luogo. E la identificazione sgrecciana tra una cellula staminale embrionale e un bambino è tutta da dimostrare. Ho sempre avuto il dubbio che non ne sia convinto nemmeno lui – ma questa è una questione personale. Meno personale invece è paragonare la ricerca attuale ai deliri pseudoscientifici nazisti. Il paragone è scorretto, di pessimo gusto e di una banalità disarmante.
Forse farebbe bene a Sgreccia ripassare quanto accadeva nella patria di Ratzinger, e noi gli andiamo incontro con una brevissima nota sull’eutanasia infantile.
Quanto all’ipocrisia della posizione italiana che permette di fare ricerca su linee cellulare derivate e non su embrioni, condividiamo. Ma la soluzione non è quella auspicata da Sgreccia.



Eutanasia infantile: la morte pietosa
Il primo bambino viene ucciso tra il 1938 e il 1939: il piccolo Knauer, nato cieco, mancante di arti e apparentemente idiota. Il medico personale di Hitler, Karl Brandt, visita personalmente il bambino nella clinica dell’Università di Lipsia per autorizzare l’eutanasia (e per rassicurare i medici che per ordine di Hitler sarebbero stati annullati eventuali procedimenti legali contro di loro).
Brandt dichiara che non esiste alcun motivo per tenere in vita Knauer, in accordo con il direttore della clinica pediatrica. La procedura di uccisione doveva essere camuffata come un procedimento medico, e i genitori non dovevano rischiare di sentirsi responsabili per la morte del figlio.
Il caso del piccolo Knauer è utilizzato per avviare il progetto eutanasia, sia per i bambini che per gli adulti.
(La testimonianza del padre nel 1973: “Il Führer voleva esplorare il problema delle persone prive di un futuro, la cui vita era senza valore. Da allora in poi, non avremmo più dovuto soffrire per questa terribile disgrazia, poiché il Führer ci aveva concesso l’uccisione pietosa di nostro figlio. In seguito avremmo potuto avere altri figli, belli e sani, di cui il Reich avrebbe potuto essere fiero… Si doveva costruire la Germania e c’era bisogno di ogni particella di energia. Ecco quel che mi spiegò Herr Brandt. Era un uomo magnifico: intelligente, molto convincente. Fu per noi come un salvatore: l’uomo che poteva sollevarci di un peso molto grande. Lo ringraziammo e gli esprimemmo tutta la nostra gratitudine”, Robert Jay, Lifton, 1986, The Nazi Doctors: Medical Killing and the Psychology of Genocide, New York, Basic Books; trad. it., I Medici Nazisti, Milano, Rizzoli, 1988, p. 139).
I programmi di uccisioni pietose prendono piede. Per quanto riguarda i bambini si comincia da quelli più piccoli, come se fosse più facile cominciare e abituarsi a sopprimere i neonati, poi i bambini di due o tre anni e infine quelli più grandi. Le uccisioni, nella scelta delle vittime e nelle procedure, diventano sempre più disinvolte. Per gestire il programma viene creato il Comitato del Reich per il rilevamento di malattie ereditarie e congenite gravi. Lo scopo era di registrare tempestivamente tutti i bambini con malattie ereditarie gravi: idiozia e mongolismo (specialmente se associato a cecità e sordità); microcefalia; idrocefalia; malformazioni di ogni sorta, specialmente di arti, testa e colonna vertebrale; e paralisi, comprese condizioni spastiche (Ordine segreto, 18 agosto 1939: oggetto – dovere di riferire su neonati con malformazioni etc.).
Alla nascita la levatrice doveva denunciare lo stato del bambino; i medici avevano il compito di riferire sulle loro condizioni fino all’età di tre anni. Il Ministero della Sanità del Reich distribuiva questionari, che i responsabili delle cliniche pediatriche dovevano compilare. A partire dal 1940 le informazioni richieste comprendevano notizie sulla nascita, sulla storia familiare (soprattutto riguardo a malattie ereditarie ma anche ad abuso di alcol, nicotina o farmaci); la previsione di miglioramenti, speranza di vita e la descrizione dello sviluppo fisico e mentale.
Compilati questi questionari, una commissione composta da tre medici doveva giudicare quelli da sottoporre a eutanasia (senza vedere i bambini e senza nemmeno leggere la documentazione medica). C’era una apposita colonna del questionario dedicata a specifica il Behandlung (trattamento): (+) significava a favore del trattamento (uccisione); ( – ) contro; nell’incertezza veniva specificato: rinvio temporaneo o osservazione. Ogni medico esaminava il modulo e dopo averlo compilato lo passava al collega: il secondo conosceva il parere del primo, e il terzo dei primi due. Per procedere al trattamento serviva unanimità nel giudizio: è evidente che questo modo di procedere favoriva la condanna di quei bambini che il primo esaminatore giudicava indegno di vivere. In caso di mancato accordo, i bambini venivano mandati insieme a quelli condannati nelle unità pediatriche deputate alle uccisioni per ‘accertamenti’. Trascorrevano un periodo di tempo in questi Istituti Specialistici Pediatrici (o Dipartimenti Specialistici Pediatrici o anche Istituzioni Terapeutiche di Convalescenza) per poi essere sottoposti nuovamente al giudizio della commissione, sulla base dei vecchi questionari.
Questi Dipartimenti erano presentati come luoghi in cui venivano offerte ai bambini le migliori terapie pediatriche; la morte era mascherata da assistenza specialistica. “Tutti procedevano come se quei bambini fossero effettivamente destinati a ricevere i doni della scienza medica, come se dovessero essere guariti invece che uccisi. La falsificazione era chiaramente intesa a ingannare: le famiglie dei bambini, i bambini stessi quando erano abbastanza grandi e il pubblico in generale. Ma serviva anche a soddisfare i bisogni psicologici degli assassini esprimendo letteralmente il rovesciamento nazista di terapia e uccisione” (Lifton, p. 80). Spesso il medico spiegava ai genitori che il figlio aveva bisogno di un intervento rischioso, oppure che bisognava ricorrere a terapie straordinarie (in tutti i casi si preparava il terreno per l’annuncio del decesso prestabilito, e giustificato proprio dal ‘rischioso’ e dallo ‘straordinario’). Serviva anche a favorire l’autoinganno dei medici: l’autoinganno colpevole di credere che i bambini fossero davvero morti per un incidente o a causa della loro anormalità. L’autoinganno era nutrito anche da altre espressioni, come ad esempio il ‘mettere a dormire i bambini’ (ucciderli).
L’inganno ai genitori era costruito a seconda della ritrosia, e comunque seguiva alcune tappe: venivano inviate loro lettere nelle quali la disabilità del figlio era sottolineata, esasperando la non curabilità. Poi con un qualche pretesto si invocavano misure eccezionali e il trasferimento nelle istituzioni adatte (all’uccisione). Di fronte a resistenze ostinate si minacciava anche il ritiro della tutela genitoriale in nome del miglior trattamento per il bambino.
Una volta trasferiti, i bambini venivano tenuti in vita per qualche tempo per simulare una terapia sperimentale. La morte era provocata dalla ripetuta somministrazione di luminal. Nel giro di qualche giorno il bambino cadeva in un sonno continuo, poi nel coma e infine moriva. Se il luminal non bastava a uccidere abbastanza in fretta, gli veniva fatta una iniezione di morfina o di scopolamina.
Il limite dell’età dei bambini da sottoporre al trattamento si alzò fino all’adolescenza, e tra le condizioni considerate come ragioni sufficienti per l’eliminazione fisica rientrarono il mongolismo, disabilità limitate, delinquenza e stranezze non meglio specificate. I bambini ebrei erano oggetto del trattamento per il solo fatto di essere ebrei.
L’eventuale senso di colpa nei medici era tenuto a bada dall’impostura dell’uccisione mascherata da terapia, ma anche dalla burocratizzazione del processo, facilitata dalle strutture mediche destinate alla eutanasia (sia infantile che di adulti). Il meccanismo era costituito da diverse persone, ognuna delle quali poteva coltivare l’illusione di non essere responsabile di un vero e proprio omicidio; ognuno poteva considerarsi un piccolo (e irresponsabile) agente il cui influsso era così piccolo da essere irrilevante.
Non c’era un comando esplicito nemmeno per le infermiere che dovevano eseguire l’omicidio somministrando sonniferi in dosi massicce. È significativo quanto affermato da un direttore di uno di questi Istituti di morte: “A coloro che venivano prescelti per essere uccisi venivano prescritte dosi di luminal molto più elevate […] Erano bambini spastici, […] avevano la polio cerebrale, erano idioti, erano incapaci di parlare o di camminare. Come si dice oggi, date loro un sedativo perché sono agitati. E con questi sedativi […] il bambino dorme. Se non si sa cosa sta accadendo, [il bambino] dorme. Si dev’essere ben introdotti per sapere che in realtà lo stanno uccidendo e non solo calmando” (Lifton, p. 84).

Test clinici per le staminali embrionali

Su Time un bell’articolo di Nancy Gibbs fa il punto sulla ricerca sulle cellule staminali, esaminando i fattori scientifici e politici in gioco («Stem Cells: The Hope And The Hype», 30 luglio 2006). Tra le varie notizie riportate segnalo quella che riguarda i possibili prossimi test clinici su esseri umani con staminali embrionali: dopo la Geron (di cui abbiamo già parlato su Bioetica poco tempo fa), anche la Advanced Cell Technology si appresterebbe a chiedere l’autorizzazione della FDA per tre terapie: una della degenerazione maculare, una per la riparazione del muscolo cardiaco e una per la rigenerazione della pelle.

Not surprisingly, the groups closest to human trials are in the biotech industry, which operates without government funds. Geron claims it is close to filing for permission to conduct the first human trials relying on ESC-based therapy. It is using stem cells to create oligodendroglial progenitor cells, which produce neurons and provide myelin insulation for the long fingers that extend out from the body of a nerve cell. Lanza’s group is also close to filing for FDA permission to begin clinical trials on three cell-based therapies: one for macular degeneration, one for repairing heart muscle and another for regenerating damaged skin. Not to to be outdone, the academic groups are just a few steps behind. Lorenz Studer at Memorial Sloan-Kettering Cancer Center in New York City has been able to differentiate ESCs into just about every cell type affected by Parkinson’s disease and has transplanted them into rats and improved their mobility. Next, he plans to inject the cells into monkeys.
Si può leggere in proposito anche un comunicato stampa dell’azienda californiana del 15 maggio scorso. L’articolo della Gibbs non tace le difficoltà dell’impresa, che restano molte; ma con un po’ di fortuna dovrebbe essere ormai vicino il giorno in cui non si potrà più dire che la ricerca sulle staminali embrionali è inutile.

sabato 29 luglio 2006

Aborto in Argentina

Sul blog Argentina. Cronache dalla fine del mondo, di Manlio Masucci, un post ci aggiorna sulla battaglia per rendere legale l’aborto, che in quel paese non lo è ancora («Legalizzare l’aborto», 28 luglio 2006).

È già molto tempo che il dibattito si è riaperto anche grazie alla lungimiranza del ministro della sanità Gines Garcia. Quando quest’ultimo si pronunciò l’anno scorso a favore dell’uso del preservativo il vescovo castrense Baseotto gli inviò una lettera esprimendo l’opinione che dovesse essere gettato nel Rio de la Plata con una pietra legata al collo. Certo ognuno è libero di esprimere le proprie opinioni ma l’immagine dei voli della morte avvenuti in epoca di dittatura militare evocata dal prelato rappresentò un vero autogoal viste le connessioni, mai completamente chiarite, tra la sanguinosa dittatura di Videla e la Chiesa romana. In quell’occasione si aprì una grave crisi diplomatica con il Vaticano che di fatto non è stata mai risolta.
L’occasione per tornare a parlare di aborto è ora quella di un procedimento legale che vede coinvolta una giovane di 19 anni rimasta incinta dopo uno stupro. La legge le vieta di abortire. Ma la causa è aperta per ottenere il permesso e nei prossimi giorni se ne saprà di più.

Luca Volontè e aborto farmacologico: falso non è l’ottimismo!

Condannare un uomo per un reato richiede la presentazione di prove sufficientemente intelligibili e solide. Non basta dire ‘secondo me Mario è colpevole’ per spedirlo in prigione: ed è un bene che sia così, perché altrimenti ciò sarebbe solo una moderna e odiosa forma di ostracismo.
Allo stesso modo è auspicabile offrire delle prove per sostenere una tesi o giudicare un atto, o almeno delle argomentazioni non inficiate da dati inesatti o da vere e proprie menzogne. L’auspicio è spesso disatteso, e Luca Volontè detiene un primato invidiabile di dichiarazioni fondate su inesattezze, se per distrazione o intenzionale manomissione non è dato sapere. L’ultima riguarda la RU486 (Falso ottimismo sulla pillola che fa abortire, Il Giornale, 28 luglio 2006).
L’intera tirata di Volontè sulla somministrazione della pillola abortiva è discutibile; ma i passaggi più deboli, per usare un eufemismo, sono tre.
Il primo riguarda la presunta pericolosità della RU486, per cui Volontè invoca dati scientifici “incontrovertibili”: «l’omicidio chimico è molto più pericoloso dell’aborto chirurgico e la kill pill è e rimane la pillola delle morte». È ormai un tormentone che sembra impossibile arrestare. Volontè senza dubbio fa riferimento ai decessi avvenuti negli Usa in seguito ad aborto chimico. Non solo non esiste unanimità su questi casi, ma è oltremodo scorretto non fornire i dati: 5 morti (non dimostrate come conseguenza diretta dell’uso della pillola abortiva) per oltre 500mila interventi. Non esistendo alcuna evidenza scientifica della pericolosità della RU486, gli aborti chimici continuano ad esseri praticati negli Usa.
Il secondo riguarda la violazione della legge 194 sull’interruzione di gravidanza che l’uso della RU486 comporterebbe. L’art. 15 della 194 promuove “l’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza”. Nessuna violazione, dunque, ma soltanto un mezzo diverso per il medesimo risultato.
Infine il terzo riguarda un farmaco utilizzato per l’aborto farmacologico: il Metotrexate, farmaco – secondo Volontè – pericoloso e inefficace. Il Metotrexate è un farmaco antitumorale, e viene usato anche per interrompere le gravidanze, soprattutto extrauterine; è un farmaco registrato e usato regolarmente nelle strutture ospedaliere. Certo, ha effetti collaterali. Ma questo è comune a tutti i farmaci, e il rimedio consiste nella corretta somministrazione e nell’assistenza ai pazienti, non nella demonizzazione.
Quanto all’inefficacia, diversi studi clinici parlano del 95% di efficacia e di equivalenza rispetto all’aborto chirurgico. Non è chiaro a quali fonti faccia riferimento Volontè.
È legittimo avere un parere personale sulle questioni più diverse. Non è legittimo però inventarsi i pilastri sui quali costruire l’anatema.

da Il Giornale di Sardegna.

venerdì 28 luglio 2006

“Manovrina” finanziaria: non tutti i tagli vengono bene

L’introduzione al Documento per la Programmazione Economica e Finanziaria per il 2007-2011 ha l’intento di spiegare quali sono le finalità e gli obiettivi dello stesso. Titola il primo paragrafo “un Dpef di legislatura per ‘sbloccare’ l’Italia”, e inizia così: “Il principale obiettivo delle due iniziative [la presentazione della Legge finanziaria per il 2007 nel prossimo settembre e la manovra correttiva e le misure per la promozione della concorrenza e la tutela dei consumatori], e di altre che seguiranno, è di sbloccare un vero e proprio intreccio perverso nel quale si è venuta a trovare l’economia italiana dopo avere accumulato, a partire dalla metà degli anni Novanta, un ritardo di crescita che ha accentuato sia l’instabilità macroeconomica sia il disagio sociale”.
Finalità e obiettivi encomiabili. Ma veniamo al punto che ha suscitato la piccata reazione del ministro Mussi: l’ulteriore taglio del 10% ai fondi destinati agli Atenei e alla ricerca, la cosiddetta manovrina passata alla Camera con il maxiemendamento al decreto-legge Bersani.
Mussi, ministro dell’Università e della Ricerca, ha addirittura minacciato le dimissioni e ha definito senza mezzi termini i tagli previsti sulla ricerca un tragico errore. Un errore clamoroso, perché la politica di definanziamento su ricerca e formazione superiore, oltretutto, si aggiunge a ristrettezze già inaccettabili. Sono dello stesso parere i rettori delle Università e i direttori degli Enti pubblici di ricerca, uniti in una protesta ragionevole e dignitosa, come l’ha definita lo stesso Mussi. Ad aggravare la situazione contribuisce la stranezza riguardo ai destinatari della manovrina: non rientrano nel provvedimento, infatti, scuole, Istituto superiore di Sanità, Istituto Zooprofilattico, Enti parco e molte altre realtà.
Se la necessità di “stringere la cinghia” è evidente, le modalità adottate dalla manovrina sono invece discutibili. Tagliare senza razionalizzare è insensato e dannoso.
E il ritardo di crescita cui si fa cenno nell’Introduzione rischia di essere irrimediabilmente aumentato da interventi demolitivi e grossolani sulla ricerca. Non bisogna dimenticare, infatti, che la ricerca e la formazione superiore costituiscono uno dei motori essenziali per lo sviluppo di un Paese. Non è pensabile ‘sbloccare’ l’Italia bloccando la ricerca e la formazione.
Conclude con amarezza Mussi: “Nessuno si aspetta miracoli e abbondanza ma se l’Italia, di fronte alla tendenza esplosiva globale della spesa in ricerca e formazione superiore, annuncia provvedimenti di definanziamento, il mondo ride e noi piangiamo”. Come asciugare le nostre lacrime?
All’amarezza espressa da Mussi si aggiunge la perplessità nel constatare la somiglianza dell’attuale Governo rispetto al precedente in materia di strategie fiscali restrittive. Perplessità che diventa sbigottimento nel ricordare le critiche dell’allora opposizione alle politiche poco attente alla ricerca e alla formazione del Governo Berlusconi, e che diventa stupore di fronte alla manifestazione di apprezzamento del coraggio che avrebbe manifestato Mussi nel minacciare le dimissioni, dal momento che il soggetto che plaude alla reazione di Mussi è lo stesso soggetto che l’ha provocata.

giovedì 27 luglio 2006

Come l’Uomo Ragno….

Just one metre square of a new super-sticky material inspired by gecko feet could suspend the weight of an average family car, say its inventors (Geckos inspire ‘super-adhesive’, BBC News, 27 luglio 2006).

Troppo grassi per una radiografia

Sono talmente grassi da impedire ai raggi x di penetrare. I ricercatori statunitensi affermano che negli ultimi quindici anni il numero di pazienti impenetrabili ai raggi x è raddoppiato (Americans ‘too fat for x-rys’, BBC New, 27 luglio 2006). Il tessuto adiposo impedisce alle onde sonore di penetrare e raggiungere l’organo da esaminare, impedendo di eseguire correttamente le ecografie e di conseguenza di formulare una diagnosi. Il problema obesità è drammatico, e non riguarda soltanto i radiologi. Gli ospedali devono rinforzare i letti di degenza e le compagnie aeree devono progettare sedili più resistenti e più ampi.
Ma l’emergenza sanitaria è senza dubbio più rilevante e più grave rispetto a letti e sedili.
Secondo il Governo il 64% della popolazione è in soprappeso. Non è superfluo ricordare che il soprappeso e l’obesità aggravano il rischio di malattie cardiovascolari e metaboliche.

Osservatore Romano sulle staminali: il macabro appuntamento

Il commento dell’Osservatore Romano a proposito del voto comunitario sulle staminali inizia con le parole “certe cose non cambiano”. Forse è proprio questo uno degli aspetti da sottolineare: il voto riguardo alla possibilità di finanziare con fondi comunitari le ricerche sulle staminali embrionali non introduce nessuna novità rivoluzionaria riguardo alle ricerche sugli embrioni.
Ancora una volta, poi, si abusa di termini e concetti per confondere le acque: “sopprimere la vita” è una espressione priva di senso, che però ha l’intento di buttare fumo negli occhi di quanti si fermano alla superficie. La questione è se quella vita (delle cellule embrionali) goda di un qualche diritto alla inviolabilità. E l’Osservatore Romano non ritiene opportuno nemmeno discutere della presunta sacralità delle staminali embrionali.
Il paragone tra la ricerca sulle staminali e l’aborto è quantomeno discutibile: la ricerca sulle staminali avviene su embrioni crioconservati non idonei all’impianto, e non comporta la soppressione di una vita (più corretto sarebbe dire: la soppressione di una “persona”). Così come accade anche nel caso di un aborto: nessuna persona viene soppressa.

mercoledì 26 luglio 2006

Che almeno sia utile a qualcosa...

Carlo Barba 2001 per lablog.

Selezione del sesso: nuove tecniche, nuovi problemi

Una nuova tecnica, basata sull’analisi del sangue materno, permette di identificare il sesso del concepito già tra la quinta e la settima settimana, senza rischi per l’embrione; in questo modo, ricorrendo all’aborto precoce, si può porre fine a una gravidanza se il sesso del nascituro non è quello desiderato. La rivista Prenatal Diagnosis dedica l’intero numero di luglio a questo tema; anche se gli articoli sono disponibili solo agli abbonati, è possibile farsi un’idea del contenuto di alcuni di essi grazie ad EurekAlert!Early fetal gender test demands rapid ethical policymaking», 20 luglio 2006).

Da vedere in particolare Thomas Baldwin, «Understanding the opposition» (Prenatal Diagnosis 26, 2006, pp. 637-45), che analizza gli argomenti contro la selezione del sesso in quattro aree chiave:

  1. religion – Baldwin believes that religious arguments by themselves should not be used to drive public policy in a liberal secular state, but suggests that the main religiously-derived arguments are taken into account in secular ethical debates.
  2. social consequences – some people argue that a serious objection to sex selection is that it will lead to a substantial imbalance of boys over girls within society. Baldwin, however, argues that if sex selection is primarily used for family balancing, the numbers of boys and girls in Western societies will not become unbalanced.
  3. child’s autonomy – it is argued that deciding a child’s sex violates his or her autonomy by imposing a particular destiny on the child. Baldwin rejects this view largely by pointing out that there are many ways during our upbringing in which parents influence who we become. Sex selection is therefore not introducing something radically new, although it does extend parental influence into a new dimension.
  4. children as a commodity – still others argue that sex selection turns the child into a commodity that has been designed to satisfy a need and thus that parents will not give their child the unconditioned love it needs. But the connections here are not inevitable, and it may equally be argued that enabling parents to have the kind of child they want increases the chances of them giving their child the love it needs.
Nonostante questi argomenti chiaramente liberali, Baldwin ritiene moralmente inaccettabile ricorrere all’aborto per selezionare il sesso del nascituro, anche se ammette che la combinazione tra i nuovi test e futuri farmaci abortivi da banco («over the counter hormone abortion kits») porrà di fatto la pratica al di fuori del controllo sociale.

Frank van Balen, «Attitudes towards sex selection in the Western world» (pp. 614-18), analizza tra l’altro il diffuso timore che la selezione del sesso possa portare a una discriminazione nei confronti dei concepiti di genere femminile. Ma recenti sondaggi rivelano in occidente un aumento della preferenza per le figlie femmine, soprattutto tra le donne; e siccome sono quest’ultime ad avere l’ultima parola sulla decisione di abortire, ciò dovrebbe compensare l’orientamento complessivo della popolazione, ancora leggermente sbilanciato a favore dei maschi.

Il Comma 22 dell’effetto placebo

Sul Times un ottimo pezzo sui paradossi dell’effetto placebo, in particolare per quanto riguarda l’efficacia delle cosiddette «medicine alternative» (Toby Murcott, «Nothing can cure you», 22 luglio 2006; l’articolo è in un rapporto non ben specificato con un libro dello stesso autore, The Whole Story: Alternative Medicine On Trial?):

By testing complementary therapies using the best means we have – double-blind randomised controlled trials – we diminish them. In fact, treatments that aren’t pharmaceuticals tend either not to get this high quality trialling, or to come out of it rather badly – in which case they inevitably receive a public battering.
But unless we test them thoroughly, and find them to be effective, there can be no justification for introducing them into the NHS. If we allowed state-sponsored administration of treatments that have little more backing them than the power of placebo, it would be open season, with every elixir-pusher provided with a new legitimacy. The power of placebo lands complementary therapy in a Catch-22 situation.
Complementary medicines help many people, and we need to recognise that the power of the placebo is their strength, rather than their weakness. But until we agree a better way of testing treatments, it is best that the complementary remains exactly that – available separately and privately, and not even trying to compete with the medical big boys.
Da leggere anche il resto.

martedì 25 luglio 2006

Risposta a Luca Volontè su Il Tempo

A proposito dell’intervento del Capogruppo UDC Luca Volontè sulla battaglia sulle staminali pubblicato ieri su Il Tempo ci sarebbero molte considerazioni da fare. Ma non è questo il contesto adatto. Mi preme invece dare un nome agli pseudoscienziati, come li chiama Volontè, dell’Associazione Luca Coscioni. Almeno qualche nome.
Piergiorgio Strata, Giulio Cossu, Carlo Flamigni, Antonino Forabosco, Mauro Barni (una ricerca su Google fornisce i dettagli dei loro profili, per chi fosse interessato).
Volontè non è uno scienziato, come dichiara lo stesso nel suo sito personale (è laureato in Scienze Politiche), pertanto sarebbe interessante capire le motivazioni del suo giudizio, che appare più ideologico che scientifico.

Un saluto cordiale,
Chiara Lalli, pseudoconsigliera generale dell’Associazione Luca Coscioni

Vattimo sulla natura

Gianni Vattimo non è il mio filosofo preferito – il pensiero debole non mi ha mai attirato particolarmente – anche se mi sta personalmente simpatico; e comunque dice sovente cose del tutto condivisibili. Come oggi sul Mattino, per esempio (Corrado Ocone, «“Non sparate sulla clonazione”. Vattimo e la bioetica», 25 luglio 2006, p. 19):

«non esiste nessun limite oggettivamente dato alla trasformazione dell’uomo. Dobbiamo uscire dalla falsa antitesi natura-cultura e cominciare a pensare che tutto è solo storia. Dobbiamo avere più fiducia nella nostra libertà di scegliere. Un tempo veniva giudicato naturale non sezionare i cadaveri, oggi per un non nulla si fanno autopsie».

Che cos’è allora la natura?

«Chiamiamo natura ciò che è solo un’abitudine di vecchia data. Noi ci opponiamo ai cambiamenti in nome di una natura che non esiste, ma in verità lo facciamo con lo stesso spirito con cui viviamo la differenza fra le generazioni».

Stephen Hawking sulle staminali embrionali

L’Independent di ieri riporta alcune dichiarazioni del fisico Stephen Hawking a proposito dei compromessi adottati dall’Unione Europea in materia di ricerca sulle cellule staminali embrionali (Steve Connor e Stephen Castle, «Hawking criticises EU states trying to ban stem cell research», 24 luglio 2006).

Stephen Hawking, the world’s best-known living scientist, has attacked “reactionary” forces in Europe and America which are trying to ban research into stem cells from human embryos.
Professor Hawking, who suffers from motor neurone disease, has criticised President George Bush and European governments who want to stop the funding of research with embryonic stem cells, which promises to revolutionise the treatment of many incurable conditions.
His attack comes on the day that an attempt will be made in Brussels to prevent any money from the European Union’s €54bn (£37bn) science budget being spent over the next seven years on research into human embryonic stem cells.
Germany is leading an attempt to change the way the EU science budget can be spent by individual member states. The plan to block stem-cell research has been bolstered by Mr Bush’s use of a veto last week which prevents US federal funds being spent on research into embryonic stem cells. “I strongly oppose the move to ban stem-cell research funding from the European Union,” said Professor Hawking, who holds the chair in mathematics at Cambridge University that was once held by Sir Isaac Newton in 1663.
“Europe should not follow the reactionary lead of President Bush, who recently vetoed a bill passed by Congress and supported by a majority of the American people that would have allowed federal funding for stem cell research,” he said in a statement to The Independent. “Stem cell research is the key to developing cures for degenerative conditions like Parkinson’s and motor neurone disease from which I and many others suffer,” he said.
Stem cells are sometimes described as “mother cells” because they can give rise to any one of the many dozens of specialised cells and tissues of the body. Scientists hope to use stem cells from spare IVF embryos to grow specialised cells that can be transplanted into the body as a tissue-repair kit for the vital organs.
President Bush and some religious authorities, notably the Catholic Church, argue that the microscopic, four-day-old embryos from which stem cells are derived are potential human lives. They believe it is immoral to take stem cells from any human embryo even for the purpose of saving lives because the process involves the destruction of embryos.
But Professor Hawking dismissed these objections, saying that banning stem cells from human embryos is equivalent to opposing the use of donated organs from dead people.
“The fact that the cells may come from embryos is not an objection because the embryos are going to die anyway,” he said. “It is morally equivalent to taking a heart transplant from a victim of a car accident.”

Padre per forza?

Su BioNews un aggiornamento sul caso degli ex coniugi irlandesi Mary Roche e Thomas Roche, a cui avevamo accennato qualche giorno fa: la donna aveva chiesto ai giudici di poter utilizzare gli embrioni congelati creati a suo tempo dalla coppia, mentre l’uomo si oppone (Kirsty Horsey, «Irish man gave no consent for ex-wife to use embryos», 24 luglio 2006).
Il caso ricorda da vicino quello di Natallie Evans, ma se da un lato è meno drammatico (la donna ha comunque già un figlio, concepito in vitro), dall’altro è giuridicamente più complesso, visto che la legge irlandese protegge i diritti del «non nato».

lunedì 24 luglio 2006

Mario Mauro perde la testa

Sulla Repubblica.it“Ipocrisia”, “No, segno di civiltà”. Le reazioni al sì Ue alle staminali», 24 luglio 2006), tra i commenti al varo del Settimo Programma quadro europeo e al via libera ai finanziamenti alla ricerca sulle staminali embrionali, spicca questo:

Mario Mauro, vicepresidente del Parlamento europeo, chiama in causa il Papa: “Vita, famiglia ed educazione sono i punti definiti da Benedetto XVI non negoziabili per i cattolici impegnati in politica”, e proprio questi valori sarebbero “oggetto degli attacchi sconsiderati e malvagi portati a termine dal più sciagurato dei governi della storia repubblicana: quello di Romano Prodi”.
Mauro dimostra qui di avere ormai abbandonato il terreno della politica, per entrare in quello del fanatismo religioso. Speriamo che ciò che dice non finisca per infiammare intelletti ancora più alterati del suo.

Aggiornamento: su Stranocristiano viene riportata la dichiarazione completa, con la frase finale che la Repubblica misericordiosamente ci aveva risparmiato:
Vita, famiglia ed educazione sono i punti definiti da Benedetto XVI non negoziabili per i cattolici impegnati in politica. Vita, famiglia ed educazione sono esattamente l’oggetto degli attacchi sconsiderati e malvagi portati a termine dal più sciagurato dei governi della storia repubblicana: quello di Romano Prodi. Quello di Prodi, Rutelli, Bindi, Franceschini, Castagnetti, Binetti, Bobba, Fioroni, Baiodossi e tanti altri che hanno venduto l’anima al diavolo pur di assicurarsi uno strapuntino di potere fine a se stesso.

Giuseppe Sermonti, Ratzinger ed Einstein vanno a un concerto di Bernstein

Stai scorrendo un articolo di Giuseppe Sermonti di qualche tempo fa («Ratzinger, la fecondazione e “l’altamente superfluo miracolo della bellezza”», Il Foglio, 4 luglio 2006, p. 2). Leggi di come Ratzinger («uno dei più grandi teologi del secolo» – di quello passato, supponi), a un concerto di Bernstein con musiche di Bach, si fosse chinato a sussurrare nell’orecchio del vescovo luterano Johannes Hanselmann «Chi ha ascoltato questo sa che la fede è vera». Leggi che i fisici militanti hanno deciso di astrarre dal sentimento estetico e dall’atteggiamento morale. Che gli scienziati evoluzionisti intendono l’universo solo in termini di economia. Che delicate poetesse protestano contro i matematici. Che con l’avvento della teoria evolutiva bontà e bellezza furono accettate solo se dimostravano un ritorno commerciale, come cortigiane del Profitto. Ma pensa un po’. E stai per chiudere annoiato, quando inciampi in questo (l’integrazione fra parentesi quadre nel testo è di Sermonti):

Se, davanti all’orchestra diretta da Bernstein, Ratzinger avesse avuto accanto Albert Einstein, forse il grande fisico gli avrebbe risposto melanconicamente con queste parole, riportate nei suoi “Pensieri”: “La teoria di Darwin sulla lotta per l’esistenza e sulla selezione ad essa connessa [ha purtroppo reso] il mondo attuale più simile a un campo di battaglia che ad un’orchestra...”.
Ah, dici. Questa non me l’aspettavo. E già ti intristisci, pensando a una delle tre somme menti scientifiche di tutti i tempi che svillaneggia come un Sermonti qualsiasi una delle altre due. Menomale che Einstein per Newton non aveva che ammirazione. Però, ora che ci pensi, ti sembra di ricordare che avesse detto qualcosa di positivo anche su Darwin. Tiri fuori un vecchio Boringhieri, della gloriosa «Universale scientifica» (Albert Einstein, Pensieri degli anni difficili, trad. di Luigi Bianchi, Torino, Boringhieri, 1965, pp. 159-60; tit. or., Out of My Later Years, 1950) e, sì, eccolo:
Io non credo che si possa assicurare una grande era atomica organizzando la scienza, nella maniera in cui sono organizzate certe grandi società industriali. Si può organizzare l’applicazione delle scoperte già fatte, ma non il processo che ne permette anche una sola. Soltanto un individuo libero può fare una scoperta. … Potete immaginare un’organizzazione di scienziati che faccia le scoperte di Charles Darwin?
Nell’originale inglese suona così:
I do not believe that a great era of atomic science is to be assured by organising science, in the way large corporations are organised. One can organise to apply a discovery already made, but not to make one. Only a free individual can make a discovery. … Can you imagine an organisation of scientists making the discoveries of Charles Darwin?
Dai un’occhiata al titolo del volume che hai in mano: ehi, ti dici, saranno mica questi i “Pensieri” citati da Sermonti? Scorri le pagine, e ti imbatti quasi subito (a p. 81) in questo:
La teoria di Darwin della lotta per l’esistenza e il principio della selezione che le è connesso sono stati citati da molti come un’autorizzazione ad incoraggiare lo spirito di competizione. Certuni in questo modo hanno anche tentato di dare una dimostrazione pseudoscientifica della necessità della lotta economica distruttrice nella competizione fra gli individui.
È sicuramente il passo del Foglio, ma Sermonti ha troncato la citazione troppo presto: Einstein diceva che la colpa non era della teoria di Darwin, ma dei suoi troppo zelanti interpreti... Per scrupolo controlli di nuovo l’inglese:
Darwin’s theory of the struggle for existence and the selectivity connected with it has by many people been cited as authorization of the encouragement of the spirit of competition. Some people also in such a way have tried to prove pseudoscientifically the necessity of the destructive economic struggle of competition between individuals.
Beh, pensi, c’è ancora la seconda parte della citazione di Sermonti, e continui a leggere. Due minuti dopo sei arrivato alla fine del capitolo, e ti stai grattando la testa: non c’è traccia di niente che suoni come «[ha purtroppo reso] il mondo attuale più simile a un campo di battaglia che ad un’orchestra». Non hai voglia di rileggerti tutto il resto del libro per ritrovare la citazione; quindi cerchi un po’ in rete. Basta poco per fare una scoperta curiosa: non è la prima volta che Sermonti usa quella frase. Però per avere il quadro completo devi andare in biblioteca.

Aspetti di capitare da quelle parti per un’occasione più degna, e quando la trovi varchi finalmente le porte della Nazionale. Chiedi il tuo libro (Giuseppe Sermonti e Roberto Fondi, Dopo Darwin. Critica all’evoluzionismo, Milano, Rusconi, 1980), aspetti cinquanta minuti leggiucchiando riviste (oramai non sacramenti più per queste attese interminabili: sai che è inutile), e quando arriva il volume ti fiondi a p. 6, in mezzo alla «Premessa» firmata da entrambi gli autori. Dopo aver riportato alcuni brani di Darwin sulla lotta tra gli uomini e tra le razze, molto citati – in genere a sproposito – dai creazionisti, i due scrivono:
Questo fondamentale cinismo darwiniano è stato ben compreso da Albert Einstein, che è stato abbastanza generoso da attribuire l’idea della sopraffazione come criterio di sviluppo, non al fondatore, ma ai “molti” o agli “alcuni”. Egli scrisse:
«La teoria di Darwin sulla lotta per l’esistenza e sulla selezione ad essa connessa è stata da molti assunta come un’autorizzazione a incoraggiare lo spirito di competizione. Alcuni hanno anche tentato in questo modo di provare in maniera pseudoscientifica la necessità di una lotta economica distruttiva nelle competizioni tra individui... Il mondo attuale assomiglia più a un campo di battaglia che ad un’orchestra. Dovunque nella vita economica come in quella politica il principio guida è quello della lotta spietata per il successo a danno dei propri simili».
In questa incarnazione precedente dell’Einstein sermontiano, la citazione è abbastanza completa da riportare l’imputazione agli interpreti di Darwin, anche se questa è attribuita alla generosità einsteiniana; inoltre, il nesso causale che lega la seconda alla prima parte è sostituito qui da un più sibillino accostamento (i puntini di sospensione non sono di sospensione ma, nel peculiare stile della casa editrice, di ellissi). Questo però lo penserai dopo; adesso fissi la pagina, priva di qualsiasi nota bibliografica: la fonte della seconda parte ti sfugge ancora. E stavolta sì che ti metti a sacramentare (a bassa voce, per non svegliare il tipo accanto a te che sta dormendo con la testa appoggiata al suo portatile).

Torni a casa imbufalito, pesti sulla tastiera del computer, fai quasi schiattare i server di Google, ma alla fine ci sei. Eccola («Religion and Science: Irreconcilable?», The Christian Register, giugno 1948; poi in Albert Einstein, Ideas and Opinions, New York, Crown, 1954, pp. 49-52):
When considering the actual living conditions of presentday civilized humanity from the standpoint of even the most elementary religious commands, one is bound to experience a feeling of deep and painful disappointment at what one sees. For while religion prescribes brotherly love in the relations among the individuals and groups, the actual spectacle more resembles a battlefield than an orchestra. Everywhere, in economic as well as in political life, the guiding principle is one of ruthless striving for success at the expense of one’s fellow men.
Traducendo:
Quando si considerano le effettive condizioni in cui vive l’umanità civilizzata di oggi dal punto di vista dei comandamenti religiosi, anche i più elementari, non si può fare a meno di provare una profonda e dolorosa delusione di fronte a ciò che si vede. Perché mentre la religione prescrive l’amore fraterno nei rapporti tra gli individui e tra i gruppi, lo spettacolo reale somiglia più a un campo di battaglia che a un’orchestra. Ovunque, nella vita economica come in quella politica, il principio guida è quello di una lotta senza scrupoli per il successo a scapito dei propri simili.
Leggi e rileggi tutto il breve saggio: forse che Einstein vi afferma in qualche modo che la teoria di Darwin «ha purtroppo reso» il mondo attuale più simile a un campo di battaglia che ad un’orchestra? No. O che sono state le interpretazioni della teoria dell’evoluzione a renderci questo cattivo servigio? Neppure; in effetti, a Darwin e alla sua teoria non si fa il minimo cenno. Si accenna, è vero, a certi non specificati pessimisti che ritengono che questo stato delle cose derivi ineluttabilmente dalla natura umana («There are pessimists who hold that such a state of affairs is necessarily inherent in human nature»); ma non si dice che sono stati loro a causarlo.
E capisci allora che Sermonti ha confezionato o utilizzato un disinvolto montaggio del pensiero del fisico tedesco, e che a rispondere «melanconicamente» a Ratzinger, durante il concerto di Bernstein, è lui, lo stesso Sermonti, con parrucca e baffi finti, camuffato da Einstein...

giovedì 20 luglio 2006

Fecondazione artificiale per le single nel Regno Unito?

Caroline Flint, ministro della sanità del Regno Unito, ha parlato pochi giorni fa di fronte alla Commissione per la Scienza e la Tecnologia della Camera dei Comuni. La Flint ha dichiarato che non c’è probabilmente ragione di mantenere nella legge britannica la richiesta, ai centri che praticano la procreazione assistita, di rifiutare i loro servizi a quelle donne che non possono garantire al futuro bambino la presenza di un padre. Per la precisione l’art. 13, comma 5 dello Human Fertilisation and Embryology Act del 1990 afferma attualmente:

A woman shall not be provided with treatment services unless account has been taken of the welfare of any child who may be born as a result of treatment (including the need of that child for a father)
È questa disposizione di legge ad aver impedito finora che donne sole od omosessuali fossero ammesse alle procedure di fecondazione artificiale (Kirsty Horsey, «UK fertility law to drop ‘need for a father’; ban sex selection?», BioNews, 17 luglio 2006; il ministro ha per contro annunciato nella stessa occasione che verrà introdotto il divieto della selezione sessuale dell’embrione, salvo che per ragioni mediche).

Bobba dixit...

Esiste un principio che ci può accomunare tutti, credo, qualsiasi sia la convinzione etica e religiosa a cui aderiamo, che viene chiamato «principio di precauzione», in base al quale si ritiene che la vita umana, nel suo formarsi e nel suo svilupparsi, non possa essere utilizzata in forme distruttive per generare o curare altra vita umana. Ritengo che andare oltre questo confine aprirebbe un’insanabile contraddizione e per di più comporterebbe rischi gravi per il nostro futuro.
(Dalla discussione in Senato di ieri).

Come promesso, Bush è un uomo di parola

E così ha esercitato il suo diritto di veto sull’affaire staminali embrionali, sfoggiando per la stampa un bel sorriso accanto ai bambini nati dagli embrioni residui e poi adottati...
(Bush irremovibile, veto sull’embrione, Il Corriere della Sera, 19 luglio 2006).

mercoledì 19 luglio 2006

Staminali embrionali sicure

Da EurekAlert! di oggi («Study establishes safety of spinal cord stem cell transplantation», 19 luglio 2006):

Irvine, Calif., July 19, 2006 – Transplanting human embryonic stem cells does not cause harm and can be used as a therapeutic strategy for the treatment of acute spinal cord injury, according to a recent study by UC Irvine researchers.
UCI neurobiologist Hans Keirstead and colleagues at the Reeve-Irvine Research Center found that rats with either mild or severe spinal cord injuries that were transplanted with a treatment derived from human embryonic stem cells suffered no visible injury or ill effects as a result of the treatment itself. Furthermore, the study confirmed previous findings by Keirstead’s lab – since replicated by four other laboratories around the world – that replacing a cell type lost after injury improves the outcome after spinal cord injury in rodents. The findings are published in the current issue of Regenerative Medicine.
Di questa ricerca, che potrebbe portare entro l’anno prossimo ai primi test clinici sull’uomo di un trattamento basato sulle staminali embrionali, avevamo già parlato qualche tempo fa. Mi chiedo perché sul Foglio e su Avvenire la notizia non sia ancora apparsa...

Volontè: risultati zero

No, i «risultati zero» non sono quelli raccolti fin qui dal nostro Luca Volontè (visto pochi minuti fa in TV al question time della Camera: bella cravatta, Luca!), già impiegato nello showroom della Filanto s.p.a. di Milano, direttore del prestigioso Istituto di Studi Giovanni Paolo II, responsabile degli Enti Locali del PPI, e così via in un glorioso crescendo, fino all’apoteosi di On. Capogruppo dell’UDC. I «risultati zero» li addebita il nostro Luca allo Stato della California (Luca Volontè, «Le donne non sono galline in batteria», Libero, 18 luglio 2006, p. 19):

La California ha investito milioni di dollari per dimostrare che le cellule staminali embrionali sono utili per la soluzione [sic] delle malattie. Risultati zero, l’ex capo dela FDA riferisce: “c’è ancora molto da fare per dimostrare la fattibilità delle applicazioni mediche delle cellule embrionali”.
Penseranno a questo punto i lettori più fedeli di Bioetica: “ecco che adesso questo dimostra che le cose stanno all’esatto contrario di quello che afferma quel poveretto, come nel caso di Mister Muffa o dei Valdesi...”. E invece no: è verissimo, la California ha ottenuto zero risultati dalle ricerche sulle staminali embrionali. Volontè non ha sbagliato, e io mi limiterò ad aggiungere solo qualche particolare che il nostro Luca ha omesso (per ragioni di spazio, sono sicuro).

Il finanziamento di tre miliardi di dollari, da erogare nel corso di dieci anni, è stato deciso con un voto popolare nel referendum sulla cosiddetta «Proposition 71», la California Stem Cell Research and Cures Initiative, il 2 novembre 2004 (59% di sì, 41% di no: in quello strano paese i referendum si vincono andando a votare, non invitando gli altri ad astenersi). In conseguenza del voto, è stato fondato il California Institute for Regenerative Medicine, incaricato di amministrare i fondi. Ma nel 2005, mentre l’Istituto approntava i propri regolamenti interni, due gruppi contrari alla ricerca sulle staminali embrionali si rivolgevano a un tribunale per bloccare l’iniziativa, sostenendo la sua incostituzionalità. Ciò impediva l’erogazione dei finanziamenti dello Stato; e anche se il giudice dava ragione nell’aprile di quest’anno all’Istituto, i fondi rimarranno congelati fino all’esaurimento dei ricorsi, cioè probabilmente fino all’anno prossimo («Judge Rules Suits Challenging Stem Cell Agency Have No Merit», Associated Press, 22 aprile 2006; peraltro la cosa potrebbe avere anche effetti positivi, cfr. «Legal delays may be a plus for state’s stem-cell effort», Mercury News, 1 giugno 2006). L’Istituto ha fatto comunque ricorso a prestiti e donazioni di privati, e il 10 aprile di quest’anno ha erogato i primi contributi per la formazione di nuovi ricercatori nel campo delle staminali, per 12,1 milioni di dollari (Carolyn Marshall, «In End Run Around Legal Challenge, California Gives Out Stem Cell Research Grants», New York Times, 11 aprile 2006).
Prima che i futuri ricercatori siano formati, o che i fondi governativi vengano sbloccati, e che si comincino ad ottenere risultati da ricerche alquanto complesse, bisognerà attendere, comprensibilmente, ancora un po’ di tempo. Ciò non toglie che Volontè abbia assolutamente ragione: finora, in California, zero risultati...

Aggiornamento: il Governatore della California, Arnold Schwarzenegger (che spera di venire rieletto nelle elezioni del prossimo novembre), ha autorizzato questa settimana un prestito di 150 milioni di dollari al California Institute for Regenerative Medicine, per avviare la ricerca in attesa della fine dell’iter giudiziario. Nonostante questo, come noterebbe di sicuro Luca Volontè, ancora nessun risultato dalle staminali embrionali in California...

63 a 37

Sì ai finanziamenti federali sulla ricerca sulle cellule staminali (Senate Approves Embryonic Stem Cell Research, CNSNews, 18 luglio 2006): HR 801 passa anche al Senato.
Bush aveva minacciato il veto.

martedì 18 luglio 2006

Io, Gino e la RU

Gino del blog Gino ci onora di un lungo post critico («Il dogma RU-486», 18 luglio 2006), dedicato a un nostro articolo di due settimane fa. Tenterò di rispondere qui di seguito, punto per punto.

Ma veniamo alle contestazioni che Giuseppe Regalzi muove a Libero.
Si comincia con l’affermare che il titolo “riporta come detto dall’intervistato l’esatto contrario di quello che l’intervistato ha detto” (la mia maestra delle elementari avrebbe sfoderato la matita rossa per segnare le ripetizioni, ma passiamo oltre...).
Mi dispiace che la cultura retorica di Gino si sia arrestata alle scuole elementari; altrimenti avrebbe riconosciuto – e chissà, forse persino moderatamente apprezzato – il mio impiego dell’antimetabole. Purtroppo noi di Bioetica tendiamo a basare le nostre strategie comunicative sulla cultura media dei nostri lettori, ignorando le esigenze dei meno fortunati. Mi scuso quindi con Gino di Gino: in futuro sarò più accorto. Ma passiamo oltre...
E già qui sorge qualche dubbio.
L’intervistatrice (Alba Piazza) chiede a Baulieu a proposito della sua invenzione: “è vero che, in certi casi, può rivelarsi pericolosa? In America sono morte 5 donne...”.
Baulieu risponde (evidentemente seccato): “Solo negli Stati Uniti si sono verificati 5 incidenti, ma dovuti a un utilizzo improprio della prostaglandina.” ecc.
Il titolo contestato è il seguente: “Il papà della pillola abortiva ammette: «È vero può essere pericolosa»”.
Certo, Baulieu non ha detto esattamente la frase messa tra virgolette – succede spesso e non solo a Libero che i titoli contengano frasi mai pronunciate, che più o meno sintetizzano un concetto espresso in un’intervista – ma ha dovuto ammettere (suo malgrado) che, “in certi casi”, “si sono verificati degli incidenti”.
Quindi non vedo cosa ci sia di scandaloso.
Supponiamo che Alba Piazza stia intervistando Emile Etienne Boisleau, fondatore della storica Société Anonyme des Eaux Minerales d’Estvin, e che questi dichiari che «i fatti hanno dimostrato che bere acqua minerale è assolutamente sicuro». Ma l’intervistatrice insiste: «È vero che, in certi casi, può rivelarsi pericolosa? In America sono morte cinque persone...», e Boisleau allora sbotta: «Solo negli Usa si sono verificati cinque incidenti, ma sono dovuti a un utilizzo improprio della bevanda: quelle persone ne hanno consumato più di tre litri in una volta sola, e sono morte in seguito al crollo del livello di sodio nel sangue». Dopodiché Libero titola: «Il papà dell’acqua minerale ammette: “È vero, può essere pericolosa”»: ebbene, forse persino Gino di Gino rileverebbe una certa qual tendenziosità...
A proposito: la frase originale di Baulieu era: «I risultati hanno dimostrato che la terapia era assolutamente sicura» (a quanto pare Gino si è dimenticato di riportarla, come pure ha dimenticato di inserire il link all’intervista).
Aggiungiamoci che Baulieu ha detto una cosa non vera: questi “incidenti” non sono successi “solo negli Stati Uniti”, ma anche in Canada e in diversi paesi europei, tra cui la Svezia. I casi noti in Europa sono almeno 5. E nessuno può dire con certezza quanti siano i casi archiviati erroneamente sotto altre cause, dato che la letale infezione da Clostridium sordellii può essere diagnosticata correttamente solo con un’autopsia. Né è possibile fare stime precise sulla situazione in paesi con sistemi sanitari molto più precari rispetto a quelli occidentali.
Questo è un appunto per Baulieu (se ha veramente detto quello che gli viene attribuito; vedi più sotto), non per me: ho dato conto esaurientemente dei decessi (che non sono tutti dovuti all’infezione da Clostridium sordellii, come sembrerebbe implicare Gino) e del significato da attribuire loro, qui, qui, qui, qui, e qui.
Un altro appunto fatto alla giornalista di Libero è di aver inserito un proprio inciso all’interno di una dichiarazione di Baulieu, ma senza indicare che si trattava di una Nota del Redattore (NdR).
Ma anche ammesso che si sia trattato di un errore, la sua evidenza era tale da eliminarne ogni “pericolosità”. Fossero tutte qui le scorrettezze dei giornalisti, ci sarebbe da far festa.
Perché quindi tanto ardore? La lingua batte dove il dente duole.
La frase incriminata è quella che si riferisce a un articolo apparso sul New England Journal of Medicine: “(dove, guarda caso, sul numero del 1 dicembre 2005 si legge che «l’aborto medico ha una mortalità 10 volte superiore rispetto a quello chirurgico»)”.
Ah, ecco la “propaganda” pericolosa per il “dogma RU-486”. Qui ci vuole un intervento per distrarre l’attenzione, sminuire la portata potenzialmente devastante di una simile affermazione, contenuta in una delle più autorevoli pubblicazioni scientifiche.
Ecco quindi mettere l’accento sulle “imprecisioni” della giornalista di Libero, che potrebbe anche non essere accurata nel verificare le proprie fonti... (“infangate, infangate: qualcosa resterà”).
Non ho fatto un appunto di aver omesso il NdR; si trattava di una precisazione necessaria per capire il resto. Gli appunti che ho fatto davvero sono altri (sulla sostanza dei quali Gino dev’essere d’accordo, visto che non li menziona mai): il buffo equivoco sul nome dell’accademia francese, la ricostruzione fantasiosa della sperimentazione italiana, la mancata comprensione della natura delle cifre citate dall’intervistato. E l’accento sulle «imprecisioni» (le virgolette, decisamente, sono obbligate...) della giornalista di Libero non serve a distrarre l’attenzione del lettore, visto che nel post spiego chiaramente qual è la reale «portata» delle affermazioni del NEJM, ma a mostrare quale sia l’affidabilità di un giornale come Libero. Non si tratta di «infangare»: non ce n’è bisogno, quando hai a che fare con qualcuno che ama giocare con la melma.
Ecco che si fanno affermazioni perentorie, ma senza possibilità di verifica: “la mortalità dell’aborto medico (cioè farmacologico) è superiore di dieci volte a quello chirurgico solo negli Stati Uniti, per una serie di casi di infezione curiosamente concentrati quasi tutti in California”.
Come “solo” negli Stati Uniti? Non si tratta di un paese del terzo mondo. Proprio perché ci troviamo in un paese tra i più moderni e progrediti questa notizia dovrebbe fare scalpore e suscitare il dubbio che altrove, con controlli meno severi e condizioni igieniche peggiori, la situazione potrebbe essere ancora più drammatica.
Per la verifica delle mie affermazioni basta leggere l’articolo a cui Gino si riferisce (Michael F. Greene, «Fatal Infections Associated with Mifepristone-Induced Abortion», New England Journal of Medicine 353, 2005, pp. 2317-18, alla fine): vi si parla esclusivamente di quattro morti in America (tutte in California), su un totale di 460000 pazienti americane, e con un raffronto con i tassi di mortalità per aborto chirurgico americani. Al di fuori del Nord-America non sono mai stati segnalati casi di infezione da Clostridium sordellii associati all’uso del mifepristone (un’epidemia può benissimo scoppiare anche «in un paese tra i più moderni e progrediti»); in Francia si è verificato un solo caso fatale su 1500000 aborti – e per cause identificate e rimosse. Quanto ai casi – ipotetici – nei paesi del Terzo Mondo, quale sarebbe, di grazia, la loro rilevanza per noi, a parte il cordoglio? La battaglia sulla RU4896 si combatte, qui da noi, per la sua introduzione in Italia, non in Cina o in India (che non ascolterebbero comunque né Gino né me); i rischi del farmaco saranno comparabili a quelli di paesi con strutture sanitarie e situazioni igieniche paragonabili alle nostre, e in cui la somministrazione della RU486 e della prostaglandina che l’accompagna si effettuino in maniera simile a quella che si sperimenta in Italia: la Francia è, appunto, il paese che più di ogni altro soddisfa queste condizioni. E se Gino non è ancora soddisfatto, dia un’occhiata all’intervista a Michael F. Greene che lui stesso linka sul suo blog:
Norman Swan: If you were a Minister for Health sitting with the dilemma of whether of not to say well it’s OK to have RU 486 on the market, would you be inclined irrespective of your ideology on termination, would you be inclined to approve it on a Greenfield site like Australia where you don’t have it on the market yet, given this information?
Michael Greene: I think it’s important not to over react to what is as tragic as it is, is a very, very small number of events first. Second it’s important to look around the world and see that throughout Europe hundreds of thousands, possibly a million procedures have been done with RU 486 and they have not seen this experience. I’ve spoken with colleagues in Great Britain and they tell me that they have not seen these infection problems. I’ve spoken with colleagues in China where it is known that a million of these procedures have been done and they inform me that they have not seen these kinds of infection problems. So I’m not quite sure why we’ve seen these disasters in North America, but as bad as they are they are still quite rare and this is the only medically approved method for terminating an early pregnancy that’s approved, at least in the United States by our Food and Drug Administration. I have certainly suggested that our own Food and Drug Administration not over-react and insist upon the withdrawal of the drug as sort of a knee jerk response. As far as what a country should do that has not yet introduced RU 486, certainly the large number of countries throughout Europe, Israel, China, many countries around the world have experienced as I say hundreds of thousands to millions of these procedures without a terrible risk associated with them. So I don’t think that this, as devastating as the complication is, the numbers are sufficiently small that I don’t think that this should be in and of itself a reason not to approve the drug.
Continua Gino di Gino:
Ma per certi “presunti liberali” non c’è bisogno di fare verifiche sui tanti e pesanti effetti collaterali riportati spontaneamente da centinaia di donne. Per costoro, l’importante è far passare la RU-486 come il “meglio” che c’è. Pazienza se negli Stati Uniti è in corso un acceso dibattito che ha portato la Food and Drug Administration ad organizzare un convegno per studiare il rapporto tra l’aborto chimico e le gravi infezioni che hanno causato la morte di cinque giovani donne americane.
Per qualcuno è prioritario screditare chi osa parlare di queste cose, anche affibbiando etichette spregiative che dimostrano solo lo spessore dei propri paraocchi ideologici.
Eppure dovrebbe essere semplice capire che una scelta libera e responsabile è possibile solo quando si è bene informati. Le donne hanno diritto di sapere.
Perciò sui rischi della RU-486 bisognerà tornare con maggiori dettagli.
Nonostante quelli che cercano di darcela a bere, canticchiando “basta un poco di zucchero e la pillola va giù”.
Nessuno ha mai detto, su questo blog, che la RU486 sia «il meglio che c’è». Gli effetti collaterali ci sono, è vero, come per tutti i farmaci; ma Gino apprezzerà questa nuova citazione dall’intervista del suo eroe, Michael Greene:
Norman Swan: So it’s not an easy option?
Michael Greene: Oh it’s not pleasant no. It’s not a day at the beach. It’s an unpleasant experience but in fact when women have been asked after the procedure, women who’ve had both medical and surgical pregnancy terminations have been asked to compare the experiences, most of the women who’ve undergone the medical procedure actually prefer it to the surgical procedure for a variety of reasons.
Norman Swan: When you say medical you’re talking about RU 486?
Michael Greene: Yes.
Norman Swan: So even with those symptoms they’re happier with not having the surgery?
Michael Greene: They are for a variety of reasons. Many women say it feels quote “more natural” unquote, many women say they feel under more control if you will. And then many women prefer to be able to just receive this medication from a physician in a physician’s office rather than having to go to what’s identified as an ‘abortion facility’ or an ‘abortion clinic’.
Sul convegno della FDA – dedicato principalmente al Clostridium difficile, che fa molti più morti del sordellii e dell’aborto farmacologico – ho già scritto in passato. Sull’«etichetta spregiativa» per Eugenia Roccella: theoconette mi sembra più descrittivo che spregiativo. La Roccella è chiaramente una teocon, ed altrettanto chiaramente una donna: quindi una theoconette, appunto. Ma siccome non voglio offendere nessuno, qualora mi manifestasse di persona il suo disappunto cesserei immediatamente di chiamarla così.
Quanto infine alle scelte libere e responsabili basate sull’informazione, non posso che dirmi d’accordo: è quello che tenta di fare, nel suo piccolo, Bioetica; perché ci sono quelli che cercano di spaventarci, per esempio farfugliando a vanvera della kill pill...

Aggiornamento: anche Malvino ha fatto un salto da Gino, per conoscere Gino.

Aggiornamento 2: nei commenti la replica di Gino (anzi, Mauro) e la mia contro-replica (dove parlo brevemente anche del metotrexato o methotrexate, sperimentato all’ospedale Buzzi da Umberto Nicolini).

Senza titolo (e senza parole)

Bush: Yo, Blair. How are you doing?
Blair: I’m just...
Bush: You’re leaving?
Blair: No, no, no not yet. On this trade thingy... [inaudible]
Bush: Yeah, I told that to the man.
Blair: Are you planning to say that here or not?
Bush: If you want me to.
Blair: Well, it’s just that if the discussion arises...
Bush: I just want some movement.
Blair: Yeah.
Bush: Yesterday we didn’t see much movement.
Blair: No, no, it may be that it’s not, it may be that it’s impossible.
Bush: I am prepared to say it.
Blair: But it’s just I think what we need to be an opposition.
Bush: Who is introducing the trade.
Blair: Angela.
Bush: Tell her to call ’em.
Blair: Yes.
Bush: Tell her to put him on them on the spot. Thanks for the sweaters, it’s awfully thoughtful of you.
Blair: It’s a pleasure.
Bush: I know you picked it out yourself.
Blair: Oh, absolutely, in fact I knitted it myself.
Bush: Right... What about Kofi? That seems odd. I don’t like the sequence of it. His attitude is basically ceasefire and everything else happens.
Blair: I think the thing that is really difficult is you can’t stop this unless you get this international presence agreed...
Bush: Yeah.
Blair: I don’t know what you guys have talked about, but as I say I am perfectly happy to try and see what the lie of the land is, but you need that done quickly because otherwise it will spiral.
Bush: I think Condi is going to go pretty soon.
Blair: But that’s, that’s, that’s all that matters. But if you, you see it will take some time to get that together.
Bush: Yeah, yeah.
Blair: But at least it gives people...
Bush: It’s a process, I agree. I told her your offer to...
Blair: Well... it’s only if I mean... you know. If she’s got a... or if she needs the ground prepared as it were... Because obviously if she goes out, she’s got to succeed, if it were, whereas I can go out and just talk.
Bush: You see, the... thing is what they need to do is to get Syria, to get Hezbollah to stop doing this shit and it’s over.
Blair: [inaudible]
Bush: [inaudible]
Blair: Syria.
Bush: Why?
Blair: Because I think this is all part of the same thing.
Bush: Yeah.
Blair: What does he think? He thinks if Lebanon turns out fine, if we get a solution in Israel and Palestine, Iraq goes in the right way...
Bush: Yeah, yeah, he is sweet.
Blair: He is honey. And that’s what the whole thing is about. It’s the same with Iraq.
Bush: I felt like telling Kofi to call, to get on the phone to Bashad [Bashir Assad] and make something happen.
Blair: Yeah.
Bush: [inaudible]
Blair: [inaudible]
Bush: We are not blaming the Lebanese government.
Blair: Is this...? (At this point Blair taps the microphone in front of him and the sound is cut.)

Thanks to Adam Cottam, Julia Alasheyeva, James Rubin and Barny Green for help compiling this.

Fonte: Sky News, 17 luglio 2006.

Alveda King, aborto e afroamericani

Su Zenit è stata pubblicata una intervista inquietante dal titolo Il dramma dell’aborto tra gli afroamericani, secondo la nipote di Martin Luther King. Intervista ad Alveda King, Direttrice dell’African American Outreach for Gospel of Life (NEW YORK, 17 luglio 2006).

Ogni bambino abortito è come uno schiavo nel ventre: la madre decide la sua sorte, afferma Alveda King, nipote del leader delle battaglie per i diritti civili Martin Luther King.
La Direttrice dell’African American Outreach for Gospel of Life afferma che una vita retta è l’unica soluzione al problema dell’aborto.
Già questa premessa basterebbe per capire quale sarà il tono dell’intervista. Niente male poi l’ostinazione nel sottolineare la parentela con Martin Luther King. Una vita retta sarebbe una vita senza sesso? E cos’altro? Senza dire bugie? Sei si ha pazienza si scopre cosa intende Alveda King.
Domanda: C’è un elevato tasso d’aborto tra gli afro-americani, e questo riflette un problema delle madri single che deve essere risolto. L’aborto sembra come la soluzione al “sintomo” bambini. Qual è la soluzione adeguata?
King: La soluzione appropriata è la rettitudine e la vita santa, inclusi l’astinenza e il matrimonio. Per tutti, indipendentemente dalla nazionalità o dalla situazione economica.
Ecco appunto: la vita santa. Non è chiaro per quale ragione il matrimonio dovrebbe escludere il ricorso all’aborto. Probabilmente perché Alveda King ritiene che sono le donne sole e con una vita promiscua a ricorrere ad una azione immorale e atroce.
Domanda: Lei recentemente ha detto: “Come potrà sopravvivere il sogno se uccidiamo i bambini?”.
King: Nell’attuale parodia del dibattito sull’ipotesi che l’aborto e l’infanticidio debbano essere permessi, una voce nel deserto continua a gridare: “Cosa succede ai bambini?”.
Abbiamo alimentato tanto il fuoco dei “diritti delle donne” da essere diventati sordi di fronte al grido delle vere vittime, i cui diritti vengono violati: i bambini e le madri. Legalmente la donna ha il diritto di decidere cosa fare del proprio corpo, ma ha anche quello di conoscere le serie conseguenze e ripercussioni della decisione di abortire.
Cosa succede con i diritti di ogni bambino la cui vita viene artificialmente interrotta prima del tempo nel ventre materno, solo per avere il cranio perforato e sentire – sì, sentire in modo agonizzante – che la vita gli viene tolta prima di poter realizzare la sua prima ispirazione di libertà?
Cosa succede ai diritti delle donne che sono state chiamate ad essere pioniere di nuove frontiere del nuovo millennio, solo per vedere la loro vita spenta prima del tempo? Che segnali contraddittori stiamo inviando oggi alla nostra società?
Permettiamo loro e spesso le esortiamo al sesso promiscuo. Quando concepiscono diciamo loro: “Non uccidere il bambino, lascia che i nostri strumenti per l’aborto lo facciano per te”.
Mio nonno, Martin Luther King senior, ha detto una volta: “Nessuno ucciderà uno dei miei bambini”. Purtroppo, due dei suoi nipoti erano già stati abortiti quando salvò la vita di un altro con questa affermazione.
Come può sopravvivere il “sogno” se uccidiamo i bambini? Ogni bambino abortito è come uno schiavo nel ventre. La madre decide la sua sorte.
Ci sono tutti gli ingredienti di una tipica argomentazione (zoppa) antiabortista: le vere vittime, i diritti attribuiti a partire dal concepimento, il cranio perforato (Alveda sceglie con precisione le parole più crude) fino ad arrivare alla stilettata contro le abitudini sessuali promiscue delle donne (non si dice nulla sugli uomini, forse si concede loro il perdono più facilmente per un comportamento immorale: loro non rischiano di uccidere una creatura se si concedono una scopata). Quale parodia?
Domanda: Cos’ha imparato nella sua famiglia sulla dignità della vita umana?
King: Mio zio, il dottor King, ha detto: “Il nero non può vincere se sta sacrificando volontariamente la vita della sua famiglia in cambio del comfort personale e della sua sicurezza”. I miei genitori mi hanno cresciuta da cristiana e io credo nella Bibbia. Mio nonno è stato molto deciso sulla vita dei non nati, e rifiutava l’idea dell’aborto.
Ridurre le interruzioni di gravidanza al non volere rinunciare alle comodità è davvero riduttivo e terribilmente banale. Il richiamo al parente più famoso rasenta il ridicolo: il solito argomento che si appiglia alla fama di chi ha fatto una dichiarazione come dimostrazione della correttezza della dichiarazione stessa.
Ah, il nero non può vincere se sacrifica volontariamente..., e il bianco?

lunedì 17 luglio 2006

George Cloney è un maiale

No, non è un insulto rivolto all’incolpevole attore, né, ancora peggio, un refuso. George Cloney (con una sola «o») è il primo maiale a essere stato clonato con una nuova tecnica, chiamata «clonazione a mano», almeno due volte più efficiente dei metodi precedenti, e dieci volte meno costosa, ideata da Gábor Vajta dell’Istituto Danese di Scienze dell’Agricoltura («‘Handmade cloning’ success uses a chopped egg», New Scientist, 17 luglio 2006). Mentre normalmente un ovocita viene privato del proprio nucleo, al posto del quale si inserisce il nucleo di una cellula del corpo dell’animale da clonare, con il nuovo sistema si divide in due l’ovocita, si identifica la metà senza nucleo, e la si fonde con la cellula da clonare. Ben il 21% degli embrioni ottenuti in questo modo e poi impiantati si sono sviluppati fino al compimento della gravidanza.
Qualcosa mi dice che George Clooney ne sarebbe compiaciuto...

George W. Bush vs Stem Cell Research Enhancement Act

Oggi comincia il dibattito al Senato per il finanziamento pubblico alla ricerca sulle staminali embrionali (Senate to debate stem cell bill, BBC News, 17 giugno 2006). In caso di esito favorevole, Bush potrebbe ricorrere al veto così come annunciato. Lo Stem Cell Research Enhancement Act mira a cancellare i limiti ai finanziamenti pubblici imposti da Bush nel 2001. Il testo del disegno di legge è passato alla House of Representatives.
Nonostante l’opinione pubblica sia a favore della ricerca e vi siano testimonial d’eccellenza come Nancy Reagan, Bush vi si oppone fermamente con argomentazioni di sapore morale.
Sarebbe inammissibile, secondo lui, “to promote science which destroys life in order to save life”; e aggiunge: “I’m against that, and therefore if the bill does that, I will veto it”.
Se Bush facesse ricorso al veto, sarebbero poi necessari i due terzi della maggioranza per annullarlo (290 voti su 435).
Domani al termine della discussione ci sarà il voto.

Bush alla prova del voto, di Anna Meldolesi, 18 luglio 2006, Il Riformista (su darwiweb.it).

Video UsaToday.

sabato 15 luglio 2006

Per Il Foglio la parte è uguale al tutto

Il commento dei teocon all’appello a Prodi del Gruppo di Ricercatori Italiani sulle Cellule Staminali Embrionali non si è fatto attendere: sul Foglio di oggi un editoriale non firmato proclama tra l’altro («Non c’è pace per gli embrioni», 15 luglio 2006, p. 3):

A Prodi, come uomo di stato, spetta l’obbligo di far rispettare la legge. Quella in vigore, che gli italiani a larghissima maggioranza hanno rifiutato di abrogare o manomettere, dice che è vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano. Il senso della norma è chiarissimo, e le contorsioni dialettiche di alcuni ricercatori e i cavilli di qualche giudice non possono cambiare questa situazione.
Effettivamente la norma dice proprio così: «È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano» (art. 13, comma 1, legge 40/2004). Il legislatore ci teneva, evidentemente, ad essere preciso – anche a scapito della lingua italiana: chissà cosa succederebbe, si sarà detto, se scrivessimo «È vietata ogni sperimentazione sugli embrioni umani»! Senonché, in cotanto sfoggio di precisione, manca qualsiasi accenno alle cellule staminali embrionali. Ora, le cellule staminali embrionali fanno parte di embrioni, ma non sono esse stesse embrioni; affermare il contrario sarebbe come dire che quando Angelo Vescovi compie i suoi esperimenti – benedetti da integralisti e teocon – sulle cellule staminali adulte, sta in realtà compiendo sperimentazioni sugli esseri umani. È vero che le cellule staminali embrionali, nelle primissime fasi della divisione cellulare, se isolate possono svilupparsi a loro volta dando vita ad embrioni (sono cioè totipotenti); ma quelle utilizzate dagli studiosi provengono dallo stadio posteriore di blastocisti, quando hanno perso ormai la totipotenza, e sono solo pluripotenti (cioè possono dare origine a qualsiasi tessuto umano, ma non a un intero organismo).
Forse al Foglio si saranno detti che comunque, per ottenere quelle cellule, gli studiosi avranno dovuto sacrificare degli embrioni, o almeno indurre qualcuno all’estero a farlo per loro, contravvenendo così all’art. 14, comma 1 della legge 40; ma non è vero neanche questo. Come scrive Anna Meldolesi, riferendosi agli otto progetti europei sulle staminali embrionali finanziati nell’ambito del Sesto Programma Quadro, a sei dei quali partecipa anche l’Italia («Staminali, quello che Prodi dovrebbe sapere», Il Riformista, 1 luglio 2006):
Un altro dato da cui non si può prescindere è che nessuno degli otto progetti prevede lo sviluppo di nuove linee cellulari a partire da embrioni sovrannumerari, ma solo l’utilizzo di linee cellulari già esistenti. In linea teorica entrambi gli approcci potrebbero godere dei fondi comunitari, ma la severità delle valutazioni etico-politiche a cui ogni progetto è sottoposto prima di essere approvato è tale che soltanto il secondo approccio finora è stato ammesso nella pratica [corsivo mio].
Le cose sarebbero più semplici se Il Foglio avesse puntellato il suo anatema con qualche ragionamento; ma questo non è avvenuto. Possibile che lo spazio fosse così tiranno?
C’è una peculiare impostura, che consiste nel proclamare come evidente una verità, senza però fornire alcuna prova di ciò che si dice – perché non ce n’è. Mi sbaglierò, ma ho il sospetto che l’anonimo editorialista proprio di questo si sia reso colpevole.

venerdì 14 luglio 2006

Appello a Prodi sulle staminali embrionali

Lettera Aperta al Presidente del Consiglio Romano Prodi dal Gruppo di Ricercatori Italiani sulle Cellule Staminali Embrionali:

Oggetto: Perché la ricerca sulle cellule staminali embrionali umane non è un inutile “optional”, ma è doverosa per il progresso della scienza ed è una pratica legalmente permessa in Italia.

Egregio Presidente,
noi ricercatori, che, in Italia, stiamo conducendo studi su linee di cellule staminali embrionali preparate all’estero, ci siamo riuniti in un Gruppo indipendente ed abbiamo organizzato per oggi un Convegno di studio a Roma per presentare all’opinione pubblica le nostre ricerche scientifiche e per affermare la assoluta legittimità degli studi che stiamo facendo.
Le inviamo questa Lettera Aperta per informarLa dei principali risultati del nostro Convegno e per chiedere il sostegno del Governo e Suo alle nostre ricerche.

A questo proposito ribadiamo che:
- le ricerche sulle cellule staminali embrionali sono campo di frontiera, nuovo e ricco di prospettive, potenzialità e quindi anche di speranze. Esse contribuiranno all’avanzamento delle conoscenze sulle malattie, permettendoci di elevare il livello di lotta alle patologie, con benefici per l’umanità tutta.
- le ricerche sulle cellule staminali embrionali sono necessarie quanto quelle sulle staminali adulte. Non esiste contrapposizione tra queste ricerche ma complementarità. Le scoperte sulle prime costantemente favoriscono gli studi sulle altre, e viceversa. Non vi è alcuna certezza che la ricerca sulle sole staminali adulte possa garantire la cura di tutte le malattie umane. Per questo è “scientificamente sbagliato” impedire questa sinergia.
- la percezione, da alcuni veicolata all’opinione pubblica, che le cellule staminali siano un “mero strumento di trapianto”, è frutto di una comunicazione superficiale e deviante. Non c’è niente di più sbagliato. Ad esempio, le cellule staminali embrionali presentano caratteristiche tali da renderle un preziosissimo elemento di conoscenza per giungere a capire lo sviluppo dei nostri tessuti, le molecole implicate o come si ammalino alcune delle nostre cellule. Non solo, esse possono essere usate per sviluppare e valutare gli effetti biologici di farmaci e vaccini o per capire la tossicità di composti dannosi alla salute del feto. Il trapianto cellulare rappresenta, quindi, soltanto uno dei potenziali ambiti applicativi delle cellule staminali, siano esse embrionali o adulte.
- la “curiosa” campagna secondo cui la ricerca sulle staminali embrionali sarebbe finanziata da non bene identificate “lobby internazionali”, attente solo all’aspetto economico è falsa, inconsistente e faziosa. Al contrario, queste ricerche sono, per la quasi totalità, rigorosamente controllate e sostenute economicamente da Enti Pubblici e da Fondazioni.
- l’affermazione secondo cui il finanziamento per la ricerca sulle staminali embrionali “sottragga ingenti fondi” a quella sulle staminali adulte è altrettanto falsa. Il Ministero della Ricerca ha già messo in evidenza che le staminali di origine embrionale compaiono in un numero esiguo di progetti Europei e che hanno ricevuto una frazione irrisoria del budget complessivo. All’atto pratico, i due campi si sostengono l’un l’altro, anche come possibilità di accesso ai fondi per la ricerca. Non si tratta di due strade parallele ma di una rete di conoscenze che si intersecano. Dimostrazione è che molti scienziati nel mondo ed anche italiani, nei laboratori, lavorano sia sulle une che sulle altre.
- tutti i ricercatori che lavorano solo sulle staminali adulte, devono avere l’onestà scientifica e intellettuale di ricordare, sempre, a sé stessi, alla gestione politica e all’opinione pubblica quanto beneficino e beneficieranno delle ricerche sulle staminali embrionali. Devono ricordare quanti vantaggi conoscitivi traggono dal partecipare a progetti internazionali di ricerca che contemplano entrambi i tipi cellulari. E quanto i risultati ottenuti siano interdipendenti. Qualcuno, correttamente, lo fa. Qualcun altro invece no. Non farlo è grave e fuorviante nei confronti della società intera. Peggio ancora è alimentare il clima di sospetto e l’azione tesa a screditare la ricerca sulle staminali embrionali.
- la ricerca sulle cellule staminali embrionali in Italia è legale. Non contravviene alcuna legge e neanche le disposizioni previste dalla legge 40/2004 (artt. 13 e segg.). Sosteniamo inoltre che, anche dal punto di vista etico, le nostre ricerche sono pienamente legittime e doverose. Non è questa la sede per affrontare il tema dell’embrione, ma quello che è certo oltre ogni ragionevole dubbio è che una cellula staminale embrionale non è un embrione, e che lavorare su queste cellule non equivale affatto a lavorare su un embrione.
- i nostri progetti di ricerca sono stati approvati e sono sottoposti a monitoraggio da parte di un Comitato etico indipendente che si è fatto garante della loro rilevanza scientifica e della legittimità dei finanziamenti, nonché dell’osservanza della normativa vigente (anche Regionale) e della consonanza all’etica. Ci impegnamo a continuare questa prassi ed a rendere conto a Lei e all’opinione pubblica di quanto andiamo facendo e progettiamo di ricercare.
- la libertà di ricerca scientifica è principio sacrosanto accolto ed esplicitato nella nostra Costituzione. Vorremmo che alle dichiarazioni seguano i fatti anche per quanto riguarda il nostro settore di ricerca. Siamo preoccupati che la Carta fondamentale della nostra società sia violata non dai nostri studi, ma da chi tenta di limitare la libertà di ricerca sulla scorta di strumentali e ingiustificate interpretazioni restrittive della Legge 40/2004.

Come scienziati chiediamo che alle nostre ricerche innovative sia dato il giusto rilievo, e siamo aperti a qualsiasi confronto trasparente e costruttivo. Siamo pronti e sempre disponibili a presentare in pubblico ciò che stiamo facendo, perché la scienza è un’attività che deve essere sempre svolta nella totale trasparenza e nel dialogo argomentato – senza pregiudizi.
La invitiamo a venire a visitare i nostri laboratori per prendere atto di quel che stiamo facendo, mostrando attenzione alle ricerche in corso.
Signor Presidente, sostenga e favorisca le nostre ricerche nelle forme a Lei possibili, perché queste ricerche sono parte significativa e fondamentale del bene comune: la salute di domani si garantisce soprattutto con le scelte di oggi. Un paese come l’Italia non può sottovalutare le nuove opportunità che si sono aperte sul piano scientifico in questo settore. È per questo che ci siamo rivolti direttamente a Lei sicuri di trovare considerazione e sostegno.

Il Gruppo dei Ricercatori Italiani sulle Cellule Staminali Embrionali
• Elena Cattaneo (Università di Milano)
• Gianluigi Condorelli (I.R.C.C.S. Multimedica, Milano, Fondazione Parco Biomedico San Raffaele Roma)
• Cesare Galli (LTR-CIZ, Spallanzani, Cremona, Università di Bologna)
• Fulvio Gandolfi (Università di Milano)
• Alessandro Mugelli (Università di Firenze)
• Federica C. Sangiuolo (Università di Roma “Tor Vergata”)
• Giuseppe Novelli (Università di Roma “Tor Vergata” e Università dell’Arkansas)

Il dilemma dell’embrione

In un lungo reportage su Mother JonesSouls On Ice», luglio-agosto 2006), Liza Mundy espone i dilemmi delle persone chiamate a decidere cosa fare dei propri embrioni congelati, avanzati al termine delle procedure di procreazione assistita: impiantarli per avere altri figli, donarli alla scienza o ad altre coppie, lasciarli nel congelatore o scongelarli per lasciarli estinguere.
Un ricercatore, Robert Nachtigall della University of California - San Francisco, ha dedicato uno studio ai problemi psicologici e morali che si affrontano in casi come questi, e la Mundy ne espone alcuni dei risultati:

“Until recently, I don’t know if any of us were aware of the scope of the embryo dilemma,” Nachtigall told colleagues at the 2005 annual meeting held by the American Society for Reproductive Medicine (asrm), the trade group for fertility doctors. Struck by these unprompted revelations, he and fellow researchers decided to do a new study, this one looking explicitly at the way patients think about their unused, iced-down embryos. The study was published in 2005 in the journal Fertility and Sterility. Strikingly, Nachtigall found that even in one of the bluest regions of the country, which is to say, among people living in and around San Francisco, few were able to view a three-day-old laboratory embryo with anything like detachment. “Parents variously conceptualized frozen embryos as biological tissue, living entities, ‘virtual’ children having interests that must be considered and protected, siblings of their living children, genetic or psychological ‘insurance policies,’ and symbolic reminders of their past infertility,” his report noted. Many seemed afflicted by a kind of Chinatown syndrome, thinking of them simultaneously as: Children! Tissue! Children! Tissue! …
Many were troubled, Nachtigall said, by the notion of donating embryos to research or to another couple, and thereby losing control over their fate and well-being; they seemed to feel a parental obligation to protect their embryos. “I couldn’t give my children to someone else to raise, and I couldn’t give these embryos to someone else to bear,” said one woman. Another woman described her embryos as a psychic insurance policy, providing “intangible solace” against the fundamental parental terror that an existing child might die. “What if [my daughter] got leukemia?” said yet another, who considered her frozen embryos a potential source of treatment. A patient put the same notion more bluntly: “You have the idea that in a warehouse somewhere there’s a replacement part should yours get lost, or there is something wrong with them.”
È evidente, in alcuni di questi casi, l’influsso – sia pure quasi sempre assai parziale – della propaganda fondamentalista a favore dello statuto personale dell’embrione; ma l’attaccamento al prodotto del concepimento, che così tanti provano, si spiega solo in parte con il martellamento incessante dei fanatici. Conta di più, credo, un sentimento quasi di possesso per qualcosa che, in fondo, ci appartiene più intimamente di ogni altra nostra proprietà; un sentimento simile a quello che molti provano per i propri figli – e che non parte dal presupposto che siano persone, anzi spesso confligge col loro essere persone. Per questo sentimento è giusto avere rispetto, anche quando non lo si condivide, e tenerne conto nel formulare le norme che regolano il campo della procreazione assistita.