venerdì 8 settembre 2006

Adriano Pessina risponde

Il 7 settembre Il Foglio ha pubblicato una lettera di Adriano Pessina sulla questione degli embrioni residuali o orfani o abbandonati che riportiamo. Alla lettera di Pessina segue una replica piuttosto discutibile – e che commenteremo in un secondo momento. Per fortuna Il Foglio ha deciso almeno di fornire il numero corretto degli embrioni titolando IN ITALIA SONO 2.527 LE VITE CONGELATE E RINNEGATE.
È già un discreto risultato (ultimo aggettivo a parte)!

Adottare l’embrione abbandonato? Lettera del prof. Pessina (con replica)
Al direttore – In un editoriale del Foglio di venerdì 1° settembre, sulla base di un articolo di Lucetta Scaraffia (apparso sul Corriere della Sera) sono stato accusato di non tutelare a sufficienza la vita embrionale e di favorire, subdolamente, l’uso degli embrioni per la ricerca sulle cellule staminali dal momento che non condivido la posizione del prof. D’Agostino, a proposito della adottabilità degli embrioni. Non penso che sia necessario difendermi da queste ed altre, più o meno fantasiose, accuse, perché le mie tesi sono note e pubbliche. Non voglio farne un caso personale. Mi preme, invece, evidenziare alcuni problemi. Per prima cosa, se si trattasse di un’adozione non ci sarebbe alcun problema e sarei perfettamente d’accordo. Ma è fuorviante parlare di adozione perché qui si tratta di indurre artificialmente la gestazione e il parto di un figlio altrui. È una situazione analoga a quella della maternità surrogata e molto simile alla fecondazione eterologa. Inoltre, l’adozione degli embrioni è pensata per difendere lo statuto personale dell’embrione o per allargare l’offerta riproduttiva? Infatti, per essere favorevoli all’adozione embrionale non è affatto necessario riconoscere all’embrione lo statuto di persona, tanto è vero che gli esponenti della cosiddetta bioetica laica hanno sottoscritto il documento del Cnb sull’adozione per la nascita sottolineando, però, che avrebbero preferito il termine donazione di embrione perché pensano che l’embrione non sia persona (e le persone non si donano!), ma un ovulo fecondato e basta. Nel documento del Comitato nazionale di bioetica si afferma che la maternità (la maternità, sottolineo) inizia con la gravidanza, cioè con l’annidamento in utero dell’embrione e lo si dice per valorizzare il fatto che la madre adottante sarebbe la vera madre. Ma se prima dell’annidamento non c’è maternità allora non c’è nemmeno un figlio allora chi è o che cosa è l’embrione crioconservato che il documento del Cnb definisce residuale? Lasciando da parte, per ora, se sia compatibile legalizzare l’adozione degli embrioni senza riscrivere totalmente la legge 40 (continuo a pensare che questo argomento sia soltanto un cavallo di Troia per smantellarla e non a caso il dibattito è presentato ad arte come un problema interno ai cattolici) va chiarito che questa proposta non è affatto risolutiva sul piano pratico: a meno di imporre a un numero sufficiente di donne la gestazione e il parto degli embrioni in stato di abbandono, non tutti gli embrioni verranno adottati e resterà il problema del che fare degli altri, subendo, allora sì, la pressione di chi vorrebbe trasformarli in materia di ricerca. Inoltre, e non è questione secondaria, si rischia di creare una sorta di ricatto morale nei confronti delle donne. Se l’embrione umano ha il diritto a venire al mondo in qualunque modo, allora c’è un implicito dovere da parte di qualunque donna (e in special modo di quelle che possono meglio garantirgli la sopravvivenza, cioè quelle che non hanno problemi di sterilità) di proporsi per la cosiddetta adozione. Perché quando la questione è posta nei termini del salvare la vita di qualcuno cade la facoltatività. Continuo a pensare che l’embrione abbia il diritto di venire al mondo nel grembo e dal grembo della propria madre e che la gestazione e il parto non siano atti paragonabili all’adozione, che resta una scelta di grandissimo valore morale per la quale mi sono sempre battuto, proponendola come reale alternativa alla tecnica di fecondazione in vitro. Bisogna perciò avere il coraggio di dire che sono i genitori degli embrioni crioconservati ad avere la responsabilità della vita dei loro figli, i quali hanno bisogno della loro madre che li accolga dando loro quella possibilità di continuare a vivere dopo averli volontariamente generati. L’azoto liquido non può e non deve essere il surrogato del grembo materno e il grembo materno non è soltanto l’utero o la funzione riproduttiva. E proprio perché li considero figli sono radicalmente e incondizionatamente contrario al fatto che vengano usati come materiale biologico. L’adozione embrionale lungi dal salvare la vita a qualche embrione umano, obiettivo in sé assolutamente legittimo, rischia di porre le premesse per abbassarne la tutela e ampliare il numero di quanti verranno esposti alla morte. Gli embrioni diventano, di volta in volta, figli da attendere, orfani da adottare, materiale da selezionare, prodotto da crioconservare, derrata deteriorabile da studiare; tutto a seconda dei desideri degli adulti: evitare ogni ulteriore manipolazione nei loro confronti non è forse l’atto più conforme alla dignità loro e nostra? Non discuto le buone intenzioni di alcuni difensori dell’adozione, ma non mi convincono le loro ragioni e continuo a pensare che valorizzare questa scelta significa, con la mediazione della tecnica, mettere in gioco il senso stesso del venire al mondo. E questo è un problema per chi ha voglia di pensare, cattolico o no.

Adriano Pessina

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Nessuno dubita delle buone intenzioni del professor Pessina, quando afferma che la tutela degli embrioni abbandonati si attua meglio accettandone la morte – o meglio provocandola, staccando la spina dei congelatori – piuttosto che attraverso quella che il Comitato nazionale di bioetica ha chiamato “adozione per la nascita”. Ma continuiamo a vedere nella sua posizione un’involontaria sponda, sotto la temibile insegna del meglio nemico del bene, per chi chiede di assimilare gli embrioni crioconservati e privi di “progetto parentale” a malati senza speranza, ai quali riservare una interessata eutanasia. Se accettiamo di espiantare organi da esseri umani “clinicamente morti” con il cuore battente, che cosa si potrà opporre a chi vorrà usare le cellule di embrioni dichiarati morti, anche se non lo sono affatto? Questa era ed è la nostra preoccupazione, che rimane intatta. Quanto all’allargamento dell’“offerta riproduttiva” che, secondo Pessina, si anniderebbe nella proposta del Comitato nazionale di bioetica, non dovrebbe essere necessario ricordare che l’opportunità dell’adozione è stata chiaramente formulata come “rimedio estremo di fronte alla situazione di abbandono dell’embrione: l’istituto è diretto a salvare la vita del concepito e offrirgli una famiglia piuttosto che a soddisfare il desiderio degli adulti di avere un figlio”. Non una nuova offerta speciale nel supermarket del bambino su ordinazione, quindi, ma un “rimedio estremo” che consenta a un numero, anche limitato, di vite sospese, già esistenti, di arrivare alla nascita. Nel migliore dei mondi possibili quelle vite nessuno le avrebbe mai dovute “produrre”, e cerchiamo tutti di impegnarci (in questo senso i limiti posti dalla legge 40 sono uno strumento efficace) perché nessun essere umano “sovrannumerario” sia abbandonato al proprio non-destino dopo essere stato creato in provetta. Ma se anche soltanto “qualche embrione” tra i 2.527 dichiarati in Italia in stato di abbandono può, grazie all’adozione, arrivare alla nascita, perché impedirlo? Non sarebbe come condannare dieci persone ad annegare perché ci sono a disposizione soltanto due giubbetti di salvataggio, e allora tanto vale non usarli? Appare lampante, infine, che se guardiamo concretamente agli embrioni abbandonati come “orfani da adottare”, questo di per sé esclude che possano essere considerati anche “materiale da selezionare, prodotto da crioconservare, derrata deteriorabile da studiare”. Al contrario, se ne stabiliamo la morte per decreto, tutto quello che Pessina paventa, e noi con lui, diventa possibile. (nic.til.)

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