giovedì 21 settembre 2006

Le ragioni di un discorso

Dopo innumerevoli analisi e discussioni, abbiamo ormai capito cosa intendesse dire il Papa nel suo discorso all’Università di Regensburg. Come sintetizza lucidamente Federico Punzi («Vogliamo interrogarci sulla visione dell’Islam in Benedetto XVI», JimMomo, 19 settembre 2006):

Il Papa argomenta dal punto di vista teologico l’impossibilità, per l’Islam, di liberarsi della concezione violenta del jihad, perché l’agire contro la ragione non è in contrasto con la natura del Dio islamico, che è «assolutamente trascendente … non è legato a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza». Dunque, la «diffusione della fede mediante la violenza» è un carattere intrinseco della «dottrina musulmana». Da una parte il Dio della Bibbia, del pensiero greco, dell’incontro tra fede e ragione, dall’altra il Dio del Corano, arbitrario e violento, perché lontano e separato dalla ragione. Una Riforma dell’Islam, sembra dire quindi Benedetto XVI – che non fa cenno nel testo ai periodi in cui l’Islam, come ricordato da Mohamed VI, ha conosciuto la categoria della ragione – è molto improbabile a causa della intrinseca irrazionalità del Dio dei musulmani.
È da notare come l’interpretazione di Punzi non si basi solamente sull’esegesi del discorso papale, ma anche su precedenti circostanze (in particolare le dichiarazioni di Joseph Fessio: vd. «Visioni contrapposte dell’Islam. Ratzinger prepara la Chiesa a un nuovo Medio Evo», JimMomo, 13 settembre).
Rimane tuttavia aperta la domanda sul perché il Papa abbia sentito la necessità di fare proprio quelle affermazioni, che corrisponderanno pure al suo pensiero, ma che comportano un costo non indifferente: l’abbandono di quella sorta di equidistanza tra Occidente (inteso soprattutto nel senso di Occidente atlantico) ed Islam che era stata la prudente politica di Giovanni Paolo II, desideroso di sottrarre le Chiese orientali – ma anche la Chiesa in generale – al pericolo di un’identificazione con le politiche mediorientali della Casa Bianca del dopo Guerra Fredda, e di cercare intese parziali con i musulmani sul tema della resistenza al secolarismo globalizzato.
Le reazioni, è vero, sono sicuramente andate al di là di ciò che Ratzinger si attendeva, a causa di un meccanismo mediatico prevedibile ma evidentemente non previsto; ma l’ormai famosa citazione dell’Imperatore Manuele II Paleologo era più ambigua di quanto adesso si voglia far credere, come Angelita dei Fantastici quattro filologicamente dimostra nella risposta a un commento sul suo blog:
Io noto:
1) Che intanto il paragrafo inizia con un’accusa di ipocrisia a Maometto.
2) Che il papa sembra voler sottolineare che il vero Islam non è quello della sura 2 (“nessuna costrizione nella fede”), ma quello delle disposizioni successive del Corano sulla jihad.
3) Che il papa sembra sposare complessivamente il discorso di Paleologo. Si suppone quindi che sposi anche la citazione “Mostrami ciò che Maometto...”, salva indicazione contraria.
4) “Brusco” non è un’indicazione contraria, perché è semmai riferito al modo in cui Paleologo pone in modo diretto “la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere” (formula di Ratzinger, che pare sottolineare che quella citazione non l’ha scelta a caso).
Ironicamente, mentre il Papa si trova ormai appaiato nell’immaginazione delle folle islamiche a George W. Bush, il Presidente americano ha tutti i motivi per non essere contento di questa nuova situazione. Per l’ideologia neocon, utilizzata anche se non adottata dalla Casa Bianca, il mondo islamico è riformabile in senso democratico e liberale, mentre il jihadismo e il fondamentalismo che lo anima sono distorsioni di una religione sostanzialmente pacifica. Solo così è giustificabile dinanzi all’opinione pubblica interna ed internazionale l’occupazione a lungo termine dell’Iraq, non certo con le mere esigenze geopolitiche di controllo di un’area strategica, e men che meno con gli appetiti vivaci dei contractors del Pentagono. Se l’Islam fosse stato presentato come irriformabile, una volta chiuso il dossier delle inesistenti armi di distruzione di massa si sarebbe dovuto procedere a un rapido disimpegno, lasciando i «barbari» a scannarsi fra di loro; non è da escludersi, d’altro canto, quando si ristabilirà il contatto con la realtà di un’occupazione gestita in modo demenziale e di un esercito portato sull’orlo dell’esaurimento, che i neocon cadano dalle grazie della Casa Bianca (come già hanno cominciato a fare), e vengano sostituiti da qualcuno opportunamente pessimista sulle sorti della rivoluzione democratica nel Dar al-Islam, pronto a giustificare ‘razionalmente’ l’inevitabile ritiro.

Nel nostro paese il discorso di Ratzinger ha ricevuto accoglienze assai più calorose: l’Italia del resto non ha la forza di perseguire autonomamente politiche mediorientali fondate sulla potenza militare, e comunque gli interessi in gioco sono decisamente più modesti.
Svanita l’illusione che l’Unto del Signore moltiplicasse pani e pesci, la Destra si è trovata ad affrontare la contraddizione tra le due anime principali che la compongono: le categorie privilegiate, capaci con l’acquiescenza dei governi amici di determinare il proprio reddito e di evadere l’imposizione fiscale, e la piccola borghesia a reddito fisso, integrato una volta con gli interessi sul debito pubblico, ma compresso adesso dall’adesione alla moneta unica. La soluzione che alcuni hanno voluto dare al dilemma è la più classica, la più onorata dal tempo: il ricorso alla paura del nemico. Una volta trovato l’avversario adatto nel terrorismo jihadista, bastava procedere a qualche adattamento cosmetico: ed ecco l’Occidente odiato per quello che è, non per quello che fa – avremmo altrimenti una possibile soluzione al conflitto (fin qui si segue ancora l’esempio americano, cui Osama Bin Laden rispondeva con un certo qual truce umorismo: «This is contrary to Bush’s claim that we hate freedom. Let him tell us why we did not strike Sweden, for example»). Ma anche all’Occidente vanno cambiati i connotati: non più Illuminismo e laicità, ma Cristianesimo – si sa, lo spirito critico non giova ai fuochisti della guerra, e pazienza se i valori universali della ragione e del pluralismo sono gli unici con una chance di conquistare gli altri continenti (i neocon avevano azzeccato la strategia, in fondo, anche se hanno fallito completamente nella tattica).
La frenesia identitaria rende decisamente più adatti all’odio: basta un giro per la Rete, ribollente di ardori guerreschi e di paranoia, dal direttore di giornale che ripete guerra, guerra, guerra, giù giù fino al misero clerico-fascista che farnetica «Possa Maria dare un segno definitivo della morte dell’Islam». La Sinistra, con la consueta (mancanza di) lucidità, alimenta involontariamente i falò col suo multiculturalismo, persa dietro al sogno inconfessato di sostituire la svanita classe operaia con una nuova corposa minoranza di oppressi da redimere.

È possibile che il Papa pensi di trarre beneficio da questi umori, e che s’illuda che dal Cristianismo possa prendere nuovo alimento il Cristianesimo? Forse sì, ma la Chiesa di oggi è troppo a disagio nella manutenzione dell’odio: lo testimoniano le precisazioni impacciate di Ratzinger, che se non sono scuse sono comunque mezze marce indietro.
Se vedo bene, la strategia vaticana ha un obiettivo più circoscritto: impedire la costituzione di vaste minoranze islamiche in Europa, sia sotto forma di immigrati, sia soprattutto sotto forma di nuovi membri dell’Unione: non è un caso, credo, che la Turchia sia il paese che ha reagito più duramente al discorso di Regensburg. La Chiesa non ha rinunciato alla sua aspirazione a vedere ‘riconosciute’ le cosiddette radici cristiane dell’Europa, e a imporre per questa via i propri valori e le proprie idiosincrasie alla vita civile del continente. Questo disegno riceverebbe un colpo mortale da una presenza di una fetta cospicua di cittadini europei religiosamente non assimilabili, che a quelle radici si sentirebbero estranei.

Quale dev’essere il comportamento di laici e liberali (se ne restano ancora di veri: quelli falsi sono ormai moltitudine) di fronte a questi avvenimenti? Da un lato è necessario difendere il diritto alla libertà di critica, da cui le religioni non sono esentate, e che vale per il Papa come per l’ultimo dei vignettisti danesi; dall’altro è necessario dissociarsi dalle idee e dagli obiettivi di Ratzinger. Solo Stati laici, e quindi perfettamente neutrali in materia di religione, potranno sperare di accogliere la Turchia nell’Unione, esempio prezioso per gli altri paesi islamici, in attesa che l’esaurimento delle risorse petrolifere interrompa nella regione il circolo vizioso di dittature, arretratezza e sedizione islamista, e di accogliere civilmente, integrare e assimilare gli immigrati musulmani (che continueranno ad arrivare in ogni caso, anche con tutti gli sforzi per regolarne i flussi). Senza dimenticare, però, che l’assimilazione si gioca soprattutto sul terreno economico: se negli Stati Uniti il melting pot funziona anche nei confronti dei musulmani, non è grazie alla più recente versione del pledge of alliance («one Nation under God»), come alcuni teocon vorrebbero farci credere, ma più modestamente grazie al vecchio e ancora relativamente affidabile American dream: fare i soldi.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Regalzi, ti devo linkare ancora una volta. La smetti di scrivere articoli così belli?

Anonimo ha detto...

Un analisi molto intelligente e razionale. Degna di chi predica l'etica umanista secolarizzata (alla faccia di chi crede che l'etica sia esclusiva della religione). I miei complimenti ancora!

Giuseppe Regalzi ha detto...

Grazie, Nova! Grazie anche a Cantor: è strano, ero convinto che questo post ti avrebbe lasciato più freddo...

JimMomo ha detto...

Intanto bel post e grazie per le citazioni. [Promemoria per me: devi aggiornare 'sto blogroll, sono settimane che ci pensi].

Qualche considerazione. Sto pensando a un'altra interpretazione, quasi opposta a quella che ho dato finora, del discorso di Ratzinger (sì, entro in fissa).

Sento che non abbiamo le stesse idee sulla dottrina Bush. Comunque, già i neocon non sono un gruppo monolitico, sarebbe meglio non confonderli con i teocon, soprattutto quelli nostrani.

I neocon di origine liberal tendono proprio a veder nel "far soldi" (e innanzitutto nella volontà individuale) e nella tradizione intesa come "La costituzione", i fattori essenziali dell'integrazione, mentre non credono al mito del melting pot, sostenendo che rimane comunque la tendenza a "fare gruppo". L'importante è che i gruppi siano basati su una molteplicità di identità.

ciao

Giuseppe Regalzi ha detto...

Beh, tutto il mio post si basa sulla distinzione tra neocon e teocon!

Ivo Silvestro ha detto...

Letto attentamente e mi unisco ai complimenti: una analisi molto lucida.

Anonimo ha detto...

Giuseppe, post bello e stimolante.

Una boccata d'aria in confronto ad articoli troppo uguali letti in giro.

E onore al merito alla fine considerazione di Angelita.