domenica 15 ottobre 2006

Una fonte particolarmente immorale di staminali

Uno dei problemi principali che si frappongono all’uso terapeutico delle staminali estratte dagli embrioni umani è quello del rigetto. Le cellule, infatti, una volta trapiantate corrono il rischio di non essere riconosciute dall’organismo come proprie, e di scatenare quindi una risposta immunitaria. Alcuni tipi di cellule pongono meno problemi di questo tipo (qui un altro esempio), ma in generale è chiaro che ciò costituisce un serio ostacolo alle terapie; oltretutto, nel caso di patologie invalidanti ma che non mettono a rischio la vita, l’uso di farmaci antirigetto potrebbe non essere conveniente in termini di rapporto costi/benefici.
La soluzione principale (le alternative sono ancora molto aleatorie) proposta per risolvere il problema è costituita dal trasferimento nucleare, cioè dalla cosiddetta clonazione terapeutica (la prima denominazione viene adesso usata per evitare l’opposizione irrazionale dei poco informati, a cui è stato fatto credere che la clonazione costituisca il peccato supremo). La tecnica, com’è noto, consiste nell’inserimento del nucleo di una normale cellula del paziente in un ovocita che sia stato privato del proprio nucleo: la cellula, con gli stimoli adeguati, comincia a dividersi, e dà origine a un embrione geneticamente identico al paziente, che a questo punto può riceverne le staminali senza problemi di rigetto.
Purtroppo, i problemi non mancano neanche qui. La tecnica – sperimentata per la prima volta con successo con cellule umane da Miodrag Stojković dell’Università di Newscastle, nel 2005 – è estremamente poco efficiente, richiedendo decine di tentativi prima di ottenere un embrione vitale, e questo la rende poco pratica. Si spera che con la ricerca l’efficienza aumenti, ma ciò richiederebbe a sua volta innumerevoli esperimenti; e dato che, come abbiamo visto, la tecnica si basa sull’uso di ovociti, ciò si tradurrebbe nel consumo di un numero enorme di queste cellule. Ma il prelievo di ovociti da una donatrice è una procedura a rischio di complicanze (e, in casi rarissimi, di morte), e questo genera ovviamente una certa penuria di donazioni. Sono stati elaborati vari schemi di pagamento per chi cede le proprie uova, ma i problemi etici sono palesi; in ogni caso, il numero di cellule necessario per la ricerca (che si aggiunge a quello richiesto per la fecondazione eterologa e per la creazione di staminali embrionali usando l’usuale fecondazione in vitro) risulterebbe probabilmente eccessivo e non raggiungibile.

È in questo quadro che si inserisce l’annuncio, fatto da scienziati britannici di tre diversi centri di ricerca, di richiedere alla Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA) una licenza per la creazione di chimere umano-animali (Heidi Nicholl, «British stem cell scientists seek licence to create chimeras», BioNews, 9 ottobre 2006). Ovociti di conigli e di bovini saranno privati del nucleo, per ricevere quello di cellule somatiche umane: una variante del trasferimento nucleare, insomma. Le cellule staminali che si otterrebbero in questo modo sarebbero geneticamente umane al 99,9%, e animali per il restante 0,1%: ogni cellula contiene infatti fuori dal nucleo degli organelli, i mitocondri, che sono dotati di un proprio limitato codice genetico e che derivano sempre da quelli della cellula uovo. Naturalmente gli embrioni chimerici sarebbero usati solo per scopi di ricerca, e non sarebbe loro permesso di svilupparsi oltre il 14º giorno dalla fecondazione.

Difficile dire se gli integralisti condanneranno o meno la distruzione di un embrione umano al 99,9%. Opporsi significherebbe auspicare la nascita di quello che, in un certo senso, è un ibrido uomo-animale (oltre che un clone); non opporsi implicherebbe – per le peculiari idee di costoro – non opporsi in teoria neppure all’uccisione della corrispondente persona adulta, che però sarebbe di fatto indistinguibile da un normale essere umano. Bisognerà ricordarsi di porre loro la domanda, se e quando verrà il momento.
In ogni caso, si opporranno sicuramente all’esperimento, in nome di un disgusto viscerale, che è poi disgusto per l’attenuazione dei confini, per la messa in dubbio di essenze credute immutabili (è lo stesso motivo, al fondo, dell’opposizione alla teoria dell’evoluzione, che implica anch’essa una perdita di distinzione tra l’uomo e l’animale). Disgusto, e paura, per tutto ciò che mette in pericolo l’ordine immutabile e ‘naturale’ del mondo, e con esso gerarchie e privilegi consolidati da tempo immemorabile.

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