venerdì 14 settembre 2007

La religione nello spazio pubblico

Sul Foglio di oggi trovo nel resoconto dell’intervento di Jürgen Habermas a un convegno romano («Il laico Habermas attacca il laicismo», 14 settembre 2007, p. 1) questo breve passaggio:

Insomma, per lo scorno di chi pensa che contrapporre laicità e laicismo sia un trucco, Habermas non soltanto usa quelle categorie ma le rende centrali nel suo ragionamento. Laicista è chi pensa che vada negato spazio pubblico al fatto religioso (“non capisco perché non si possano esibire i segni della fede”, ha detto rispondendo a una domanda).
In genere chi è laico (o laicista, se proprio preferite) intende «la negazione dello spazio pubblico al fatto religioso» come l’esclusione degli argomenti di fede (o riconducibili alla fede) dalla discussione pubblica nella sfera politica: una norma non può essere approvata solo perché «Dio lo vuole», neanche se chi la sostiene è in maggioranza. Ma su questo principio sono d’accordo – a parole – anche i credenti (che infatti sostengono che le loro verità di fede sarebbero confermate da una più o meno fantomatica e indefinita «Ragione» intersoggettiva); e certo non lo si potrebbe mai confondere con il divieto di «esibire i segni della fede».
È possibile allora che la domanda rivolta ad Habermas si riferisse piuttosto a polemiche come quella contro l’affissione di crocefissi nei luoghi pubblici in Italia o contro il velo islamico nelle scuole francesi; ma anche in questo caso, la risposta del filosofo non sembra molto congruente: non si tratta certo di esibire genericamente i segni della fede. Forse la domanda era mal posta, o forse Habermas non l’ha compresa; in ogni caso, si ha la sensazione che il Foglio abbia fatto intenzionalmente un po’ di confusione.
Sia come sia, approfittiamone per riassumere brevemente i capisaldi della posizione laica in materia. Nello spazio comune – quello, per intendersi, delle strade e delle piazze – siamo tutti liberi di esibire i segni delle nostre appartenenze: croci, kippah, barbe islamiche, turbanti sikh, clergyman, sai, tonache. Le campane possono suonare a festa per i matrimoni, e i muezzin possono richiamare alla preghiera. Una limitazione importante è la mancanza di costrizione: la polemica contro il velo islamico è tutta qui. In assenza di un criterio per distinguere chi lo indossa volontariamente dalle altre, il divieto generalizzato può avere l’effetto di liberare soggetti troppo deboli per ribellarsi – anche se è una misura su cui ovviamente c’è molto da discutere (e sarebbe in ogni caso meglio non invocare argomenti chiaramente pretestuosi, come l’impossibilità di identificare chi lo porta). Un’altra limitazione è il rispetto per la sensibilità comune, che sostanzialmente rispecchia i gusti della maggioranza ed è mutevole nel tempo: niente macellazione rituale in piazza, per esempio, e niente bestemmie contro Allah. Questa limitazione cade completamente per quello che riguarda un altro tipo di spazio pubblico: quello dei libri, dei giornali, di Internet, dei Dvd, dei cinema e dei teatri, dove la libertà deve rimanere illimitata, e dove gli appelli delle sensibilità offese non devono avere corso (tecnologie push come la radio e la televisione, con i loro spettatori passivi, appartengono forse più allo spazio comune che a questo secondo tipo, ma anche di questo si può discutere); e ovviamente lo stesso vale per lo spazio privato.
Infine, lo spazio istituzionale. Lo Stato laico (e liberale) non propende per nessuna religione, e per nessuna ha avversione – se non per quelle che offendono le leggi. La conseguenza di questa neutralità è la mancanza assoluta di simboli religiosi nei suoi spazi: scuole, tribunali, ospedali, stazioni. Allo stesso modo i funzionari pubblici nell’esercizio delle loro funzioni non indossano croci o veli. Lo Stato laico lascia volentieri la foia identitaria ai tribalismi omicidi che ancora impestano il mondo; e a chi invoca l’identità occidentale risponde che la coincidenza di Occidente (con le sue religioni, le sue lingue e le sue etnie) e libertà è, in un certo qual modo, accidentale: tutto il mondo può conquistare la seconda, senza doversi trasformare nel primo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

A volte ho l'impressione che Il Foglio "manipoli" le notizie, ma è solo un'impressione...

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

A volte invece io ho l'impressione che il Foglio sia semplicemente ed ottusamente di parte e che spesso questa parte coincida con quella della Chiesa e di Forza Italia.

Ma anche la mia, come quella di chi mi ha preceduto nel commentare questo post, è semplicemente un'impressione o se preferite una sensazione...