giovedì 3 aprile 2008

Francesco D’Agostino e la pillola del giorno dopo

Francesco D’Agostino interviene sull’episodio delle due ragazze pisane a cui è stata negata la pillola del giorno dopo («Medico non esecutore di richieste», Avvenire, 3 aprile 2008, p. 1):

nessun medico è ‘obbligato’ a prescrivere qualsiasi farmaco, per il quale sia necessaria una ricetta, qualora egli non ne ravvisi l’opportunità e l’utilità. Esiste una libertà di scienza, prima ancora che di coscienza, che ha un essenziale valore epistemologico e deontologico: il medico è un ‘alleato’ del paziente e deve sempre cercare di operare per il suo bene, secondo le sue competenze professionali; non è e non deve mai diventare il cieco esecutore di una richiesta, di qualsiasi richiesta farmacologica il paziente possa avanzare.
[…] questa particolarissima autonomia del medico è ribadita espressamente dal codice deontologico e non ha nulla propriamente a che vedere con l’obiezione di coscienza (è stata questa anche l’opinione del Comitato nazionale per la Bioetica). Potremmo parlare piuttosto di ‘obiezione di scienza’: al paziente che gli chiede un certo farmaco, il medico potrà (se questo sarà il caso) opporre un rifiuto in quanto medico, prima ancora che in quanto ‘cattolico’. Naturalmente sarà professionalmente responsabile se il suo rifiuto sarà la causa determinante di un danno alla salute (si badi: alla salute!) del paziente, ma la sua responsabilità non sarà morale, bensì scientifica: lo si potrà cioè accusare sul piano della perizia professionale, non su quello etico.
[…] va stigmatizzato il medico che non intende prescrivere il Norlevo? Perché dovrebbe esserlo? Sul piano scientifico, egli opera una scelta in prima battuta ‘medica’, nella serena coscienza che il rifiuto di un anticoncezionale di emergenza (peraltro facilmente procurabile per altre vie, come appunto è avvenuto nel caso di Pisa) molto, ma molto difficilmente può produrre un danno alla salute di una donna. Non si ha alcun diritto, una volta riconosciuto che la decisione del medico è per l’appunto specificamente ‘medica’, [a] procedere a valutazioni ‘etiche’ nei suoi confronti.
L’articolo del Codice di deontologia dei medici a cui D’Agostino allude è il 22:
Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento.
Anche l’articolo 13, comma 6, ripete questo medesimo concetto:
In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure disponibili.
Si potrebbe discutere a lungo su che cosa intenda il Codice per «prestazioni che contrastino con la coscienza del medico», ma D’Agostino ci toglie la necessità di farlo, visto che sostiene – oltretutto con una certa insistenza – che di obiezione di scienza si tratta, e non di obiezione di coscienza.
Ora, l’obiezione di scienza può riguardare per definizione soltanto l’adeguatezza tecnica dei mezzi – cioè dei trattamenti sanitari – al fine, che qui è la salute del paziente. Non si può parlare di adeguatezza personale nel caso di Pisa: i medici obiettori non hanno visitato le pazienti e riscontrato una condizione particolare che sconsigliava la somministrazione del farmaco, visto che si sono limitati ad esprimere – in un caso addirittura con un cartello – la loro indisponibilità generica. Ci si aspetterebbe dunque che D’Agostino facesse almeno un cenno alle controindicazioni che in generale riguarderebbero la pillola del giorno dopo; ma si aspetterebbe invano. Tutto quello che scrive in proposito è questo:
Non confondiamo il semplice rifiuto di prescrivere una pillola contraccettiva, in quanto potrebbe in linea di principio avere effetti nocivi sulla salute femminile (e questo è un giudizio medico insindacabile!), con l’obiezione di coscienza, che non è in prima battuta un problema medico, ma un problema morale.
«In linea di principio»? Questo è chiaramente assurdo: «in linea di principio» – e quasi sempre anche in linea di fatto – qualsiasi farmaco potrebbe avere effetti nocivi, e quindi ci troveremmo all’arbitrio totale. Ma nell’ottica di D’Agostino la cosa ha un senso, visto che poco prima, come abbiamo visto, affermava che «il rifiuto di un anticoncezionale di emergenza […] molto, ma molto difficilmente può produrre un danno alla salute di una donna»; in effetti, si potrebbe sostenere che neppure il più piccolo rischio si giustifica quando il rifiuto del trattamento non può produrre danni alla salute.
Ma cosa comporta in questo caso il mancato trattamento? Vediamo: l’angoscia di una possibile gravidanza indesiderata; il rischio di un intervento chirurgico per l’aborto, o il rischio anche maggiore che sempre comporta una gravidanza. Non sono questi «danni alla salute»? E sennò, allora che idea ha il professor D’Agostino dei danni alla salute? Di certo non la stessa del Codice di Deontologia Medica, che pure cita e invoca:
La salute è intesa nell’accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona (art. 3, comma 2).

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao,

mi chiedevo se vi può interessare l'idea di dare un po' di visibilità al blog (di cui faccio parte) che in questo periodo coì - singolare - diciamo, ha deciso gratuitamente e liberamente di dare notizia di certi fatti che noi tutto conosciamo.

Grazie comunuqe,
info@olimpiadi-pechino.org
http://www.olimpiadi-pechino.org

Anonimo ha detto...

Sento un rumore... come... di qualcosa che sguscia... cos'è? D'AGOSTINO! Che cosa combini su quello specchio?!? L'ho appena pulito!! Come? Esercizio eristico?

Ecchevordì?

Mah...

Anonimo ha detto...

Purtroppo D'Agostino non ha tutti i torti e vi spiego il motivo.
Il problema principale è questo: sul foglietto illustrativo tra gli effetti collaterali del levonorgestrel non appare nulla, ma veramente nulla che possa far pensare ad un rischio per chi lo assume, al massimo un po' di nausea.
Ben sanno i farmacologi e molti medici (ma evidentemente non tutti)che qualunque contraccettivo orale può scatenare, in pazienti predisposte (con alterazioni della coagulazione prevalentemente su base genetica) una trombosi venosa.
Questo è il motivo per cui prima di prescrivere la "pillola" le ragazze sono invitate ad eseguire esami ematochimici e della coagulazione.
Se questo non succede il medico si assume la responsabilità (o la irresponsabilità) di quanto può accadere.
Se veramente il levonorgestrel fosse un farmaco relativamente innocuo (al pari di quelli da banco) non si spiegherebbe il fatto che non sia in libera vendita.
Forse proprio questo è il punto: l'obbligo di ricetta non è dato da ingerenze cattoliche (che pur presenti non possono arrivare a tal punto), ma da indicazioni farmacologiche del principio attivo.
Non so se questa omissione sul foglietto illustrativo sia voluta o meno, ma sicuramente non aiuta una corretta informazione.
Per quanto riguarda il meccanismo di azione: non è dimostrato se il farmaco sia contraccettivo o intercettivo (impedisce l'impianto dello zigote già formato) nonostante i comunicati non ufficiali (perchè non scientificamente dimostrabili)di alcune commissioni del Ministero della Salute, ma soprattutto, cosa importantissima e di cui si parla poco, ha una efficacia relativamente bassa.
Questo vuol dire che in caso di ovulazione e fecondazione il levonorgestrel potrebbe non avere effetti.
Anche su zigote impiantato il farmaco potrebbe non sortire alcun effetto.
Quindi non si parla tanto di contraccettivo o abortivo, ma di efficace o meno.
Percio' la questione è questa: perchè somministrare un farmaco potenzialmente rischioso per una paziente che non ha il tempo di eseguire esami ematochimici e della coagulazione per scongiurare una possibile trombosi e perdipiù un farmaco con efficacia decisamente bassa?
Questo non esime i medici pisani dall'eseguire gli accertamenti anamnestici (colloquio) ed eventuali esami ematochimici e della coagulazione.
Questo se invocano obiezione di scienza.
Se invece invocano la obiezione di coscienza (legittima visto il non dimostrato effetto del farmaco)
avrebbero potuto dimostrare un po' di gentilezza e fornire almeno un nominativo di collega non obiettore
(certo il cartello è proprio brutto!)
(Brecht)

Giuseppe Regalzi ha detto...

A quanto mi risulta il levonogerstrel non ha le controindicazioni che dici tu. Riporto l'abstract di J. Guillebaud, "Time for emergency contraception with levonorgestrel alone", Lancet 352, 1998, pp. 416-7:

"The World Health Organization (WHO) multicenter, randomized trial reported in this issue of "The Lancet" confirms that levonorgestrel-only (two 750-mcg doses) is significantly more effective in preventing pregnancy after unprotected intercourse than the standard Yuzpe regimen (two doses of 500 mcg levonorgestrel and 100 mcg ethinyl estradiol) and is further associated with significantly less nausea and vomiting. When initiated within 24 hours of coitus, the failure rate was only 0.4% for levonorgestrel compared with 2.0% for the combined hormonal method. A further advantage of a progestogen-only emergency contraceptive method is avoidance of contraindications in women with past proven arterial or venous thrombosis or a current attack of migraine with focal aura."

Tu hai fonti diverse? In ogni caso, come dici tu stesso, i medici di Pisa erano tenuti a visitare le pazienti.

Sulla presunta azione abortiva del farmaco ti rimando invece al recente P.G. Lalitkumar et al., "Mifepristone, but not levonorgestrel, inhibits human blastocyst attachment to an in vitro endometrial three-dimensional cell culture model" (Human Reproduction 22, 2007, pp. 3031-3037), il cui titolo dice già tutto.

Anonimo ha detto...

"Se invece invocano la obiezione di coscienza (legittima visto il non dimostrato effetto del farmaco)"

L'obiezione di coscienza è lecita in quanto prevista dalla legge. Per la pillola del giorno dopo non è prevista, per cui non è lecita.

Inoltre il fatto che il farmaco non abbia una efficacia del 100% non mi pare una argomentazione valida. Nemmeno la chemioterapia ha una efficacia del 100% e provoca gravissime ripercussioni sull'organismo. Diamo obiezione di scienza sulla chemio?
Potremmo addirittura far ritirare dal mercato le aspirine, qualche volta non mi hanno curato il mal di testa! (Ovviamente lo dico tanto per estremizzare)

Quello che si deve soppesare è: sono le ripercussioni del mancato intervento più dannose del rimedio? Sì, difatti la legge 194 sull'aborto e la legalizzazione della pillola del giorno dopo ci sono per questo, son questioni già soppesate preliminarmente.

Anonimo ha detto...

Temo che non ci sia una comunicazione corretta sul meccanismo d'azione del farmaco e ancor di più omissioni sui possibili effetti collaterali.
Spiegatemi altrimenti il motivo per cui l'AIFA (agenzia italiana per il famaco) ha ritenuto necessario l'obbligo di ricetta e non ha consentito una libera vendita.
Non mi risulta che l'AIFA risenta di ingerenze cattoliche.
E ancora, quante ragazze che hanno ricevuto il Norlevo non sono state sottoposte a visita o almeno ad un colloquio che comprendesse la storia clinica (malattie passate e farmaci assunti?).
Se veramente il levonorgestrel viene prescritto a occhi chiusi allora le intenzioni dll'AIFA sono miseramente fallite e diventa legittima (nonchè doverosa) la richiesta di una libera vendita.

Rispondo brevemente a Merc: il tuo discorso è corretto da un punto di vista legislativo, ma non è la legge che impone un comportamento al medico, che agisce basando il suo operato su scienza (conoscenza scientifica) e coscienza.
E non è certo imputabile se il medico dimostra che il suo comportamento non è stato lesivo per il paziente.
Ma credo che nessuno pretenda di imporre al medico un comportamento in contrasto con la sua coscienza, credo veramente che si tratti di comunicare correttamente le cose e di non far perdere inutilmente tempo ai pazienti.
Per la chemioterapia: il campo è molto complesso poichè gli studi scientifici sulla chemioteapia non hanno un campione di riferimento attendibile.
Infatti i comitati etici non permettono la sperimentazione su un campione malato con un farmaco placebo.
Quindi i dati sull'efficacia dei trattamenti chemioterapici non sono scientificamente provati.
A volte, se le condizioni del paziente sono molto gravi, la chemioterapia non viene praticata.
In questo caso non è obiezione di coscienza o di scienza, ma applicazione di dati statistici sull'efficacia del trattamento rapportati a dati statistici su effetti collaterli del trattamento stesso.
(Brecht)

Anonimo ha detto...

Ehm, scusate ma rileggendo il mio ultimo intervento pare che i midici siano banditi che agiscono al di fuori della legge.
Il codice deontologico e il giuramento che i medici sono tenuti a sottoscrivere sono una garanzia totale per la salvaguardia della salute del paziente, ben superiori a indicazioni legislative che possono apparire in alcuni settori incomplete.
Quindi giuramento e codice deontologico non esulano dalla legge, ma la comprendono ampiamente colmando le parti che attenendosi alla sola legge risulterebbero dubbie o incomplete.
(Brecht)

Anonimo ha detto...

Per Brecht:

Per quanto riguarda gli effetti della pillola, ribadisco, non posso esprimermi perchè le mie conoscenze si limitano al sapere che esiste, sorry, mea culpa. :P

Per quanto riguarda la relazione tra legge e comportamento medico non credo che si possa dedurre una regola generale per cui "il medico agisce secondo coscienza e scienza" in modo puro e "il medico agisce come impone la legge" in modo puro... i limiti sono ovviamente sfumati ma i casi presentati da questi articoli si piazzano senza dubbio nell'illecito. Capisco che un medico si rifiuti secondo scienza di prescrivere la pillola del giorno dopo ad un paziente che la richiede perchè ne vuole una scorta in casa o perchè la vuole prendere tanto perchè non sa che fare, ma non è questo il caso. Si sarebbero invece dovute fare le visite necessarie e poi, scongiurati quei casi in cui il rischio è troppo alto e prescriverla sarebbe un vero e proprio reato, informato il paziente dei possibili effetti collaterali lasciare a questo la scelta di ricorrere alla pillola.

Dici: "E non è certo imputabile se il medico dimostra che il suo comportamento non è stato lesivo per il paziente."

La gravidanza indesiderata portata avanti per una mancata assistenza prevista dalla legge da parte di un medico E' una lesione per il paziente in quanto tale. Non importa che il bimbo sia sano e nemmeno che la madre perfettamente in salute poi cambi idea! Sarebbe come dire che io mi metto a sparare in mezzo alla folla, per fortuna non colpisco nessuno e quindi vabbeh, non mi si può accusare di comportamento lesivo.

Dici anche: "Ma credo che nessuno pretenda di imporre al medico un comportamento in contrasto con la sua coscienza"

Personalmente ritengo che non possa esistere un sistema sanitario monco le cui prestazioni possono variare in base alla coscienza del medico! Dev'essere la legge, come per tutte le altre cose, a stabilire dei limiti ma, una volta stabiliti, devono valere sempre e per tutti! L'obiezione di coscienza in materia di aborto aveva senso quando questo era una novità e avrebbe interessato le carriere di medici già praticanti. Ora chi intraprende questa carriera può scegliere prima e optare per altri settori, oppure non fare il medico, pertanto non ha più senso e andrebbe cancellato.

Questo è quello che penso io. Poi certo, visto il paese in cui viviamo, con un tale cambiamento potremmo ritrovarci senza medici...

Anonimo ha detto...

Ho detto cose contraddittorie in merito al rapporto tra legge e medicina, te pareva... pazienza. Chiarirò più avanti!

paolo de gregorio ha detto...

Brecht,

non saprei proprio come interpretare la tua osservazione che un medico debba rispondere anche alla propria coscienza. Se come tutti, nel senso di dover fare al meglio la propria professione in una società in cui tutti dipendiamo gli uni dagli altri, allora sono d'accordo. In senso restrittivo, cioè di coscienza puramente personale, allora no. Cosa fa un giudice che deve condannare all'ergastolo un mafioso, ma la sua coscienza gli dice che privare della libertà una persona, anche gravemente rea, della libertà fino a quando avrà l'ultimo respiro di vita, la sua cosceinza (dicevo) gli dice che è troppo? E se la coscienza di un medico gli dice che il sangue di persone diverse non può mai mischiarsi? In fondo, l'escamotage formale lo si troverebbe: rischio di contagio (non si può mai sapere al 100%).

Parlando del caso in questione: è già stato fatto notare questo. Io ti darei ragione su alcune frasi, se prese fuori dal contesto. In generale certo che è vero che il medico non è un robot obbligato ad obbedire al paziente. Ma quello che non è ammissibile è che la non prescrizione di un farmaco non segua una indagine individuale e sia da questa ben motivata; sennò è pretestuoso stare a parlare di "scelta scientifica". Non credo che nessuno possa dire che fare ciò rientri tra le scelte deontologicamente corrette di un medico.

Quanti medici poi sono stati condannati per le conseguenze di un loro rifiuto ad intervenire, basato su valutazioni specifiche ma errate, e nelle quali l'intervento non sarebbe certo stato totalmente privo di rischi? E allora torniamo al punto di partenza: quando si parla di sesso, concepimento, donna e via dicendo, suvvia lasciamo che i medici facciano come credono, e prendimocela con loro solo per altre cose, perché, in fondo in fondo, che male hanno fatto?

La prassi migliore invece è sempre quella di informare il paziente nel modo più completo e accurato, lasciando il più possibile (se possibile) a quest'ultimo la libertà di una scelta informata e cosciente.