domenica 30 novembre 2008

Velleità

Magdi Cristiano Allam annuncia l’abbandono del giornalismo e l’entrata in politica, col partito da lui fondato Protagonisti per l’Europa Cristiana. Un altro che si candida a seminare tempesta e a raccogliere solo un po’ di vento.

venerdì 28 novembre 2008

Uguale dignità

Sergio Bartolommei, «Un caso spartiacque tra laici e vitalisti» (Liberazione, 27 novembre 2008, p. 12):

Anche a non volere qui contestare il linguaggio della morale religiosa che considera anche gli individui in Stato vegetativo permanente “persone”, la domanda che sorge immediata è la seguente. Chi crede che un essere umano sia “persona”, con la sua intatta “dignità” durante tutta la sua esistenza, come può sostenere che in fase di incoscienza la “persona” Eluana Englaro possa avere meno dignità di una “persona”, Testimone di Geova, che sceglie, non ostacolata e senza obbligare altri a fare la sua scelta, di morire piuttosto che subire un’emotrasfusione? Perché dovrebbe essere riconosciuto a una persona cosciente il diritto di rifiutare le cure in base ai suoi valori e lo stesso diritto negato a una persona che non abbia più questa capacità nonostante abbia espresso con chiarezza la sua volontà quando era lucida e cosciente? Non ha anche quest’ultima il diritto di non subire violenze inutili e indesiderate?

Libertà illiberale

Bruno Gravagnuolo sull’ultimo saggio di Marcello Pera, Perché dobbiamo dirci cristianiLa libertà illiberale di Pera», L’Unità, 26 novembre 2008, p. 39):

Ma assurda e malfondata è anche la tesi generale di Pera, con la quale il Papa entusiasticamente consente. Vale a dire, l’obbligo di essere cristiani, se si vuol essere liberali. E in base al falso assunto per il quale il liberalismo scaturisce ipso facto dal cristianesimo, e logicamente ne dipende. Sciocchezza bella e buona! Visto che a lungo il Cristianesimo contrastò la libertà etico-politica del singolo, affermandone la dignità universale solo sul piano ultramondano (S. Paolo dissuade gli schiavi dal ribellarsi!). Perché il cattolicesimo anatemizzò fino a Pio IX il liberalismo. Perché solo una parte del cristianesimo riformato incoraggiò il liberalismo. E perché il liberalismo è figlio secolare del giusnaturalismo, che laicizza la legge naturale e ne fa legge positiva senza dogma. Inoltre, anche l’infinito valore della persona (cristiana) non nasce da sé. Ha, dietro, tre secoli di filosofia pagana: cinica, stoica ed epicurea, per tacere di Platone e Aristotele. E davanti a sé, dopo Cristo, secoli di lotte civili, spesso contro la Chiesa. Il liberalismo non nasce bello e fatto dai Vangeli: è un prodotto umano!
Da leggere tutto.

giovedì 27 novembre 2008

81%

Notizia Apcom:

Milano, 26 nov. (Apcom) - L’81 per cento degli italiani non vorrebbe essere tenuto in vita qualora si trovasse nelle condizioni di Eluana Englaro. È questo il risultato che emerge da un sondaggio condotto dal settimanale Donna Moderna, che sarà in edicola domani. Solo il 19% degli intervistati invece direbbe sì alla vita anche in quelle condizioni.

La religione è il doping dei popoli

Titolo di un articolo di Vittorio Possenti, dedicato all’ultimo libro di Marcello Pera, su Avvenire di ieri: «Il liberalismo tornerà a correre solo con una grande iniezione».

L’Osservatore e il monolite

Stavo leggendo l’articolo in cui Juan Manuel de Prada – uno scrittore cattolico tradizionalista – protesta violentemente contro l’ormai nota sentenza di un tribunale spagnolo che obbliga a rimuovere i crocifissi dalle pareti di una scuola di Valladolid («Una semplice croce», L’Osservatore Romano, 25 novembre 2008, p. 6), e già mi chiedevo se ne avrei potuto ricavare un post sul concetto di Stato laico (col quale l’autore non sembra avere particolare dimestichezza), quando sono arrivato a un’affermazione del de Prada, che non aveva niente a che fare con il tema in discussione ma che mi ha indotto a fermare per qualche minuto la lettura.

La visione di un crocifisso chi può offendere? Non, naturalmente, quanti non sono stati educati nel cristianesimo; poiché, per questi, un crocifisso sarà come il monolite che adoravano gli uomini delle caverne, una figura priva di significato religioso in cui, forse, scopriranno un significato storico.
Quando ho letto del monolite, il mio primo pensiero è stato – anzi, no: dirò prima qual è stato il mio secondo pensiero. Ho pensato: no, non è possibile; probabilmente si riferisce ai menhir, o a qualche altro pietrone del genere.
Ora, lasciamo stare che i menhir non venivano adorati dagli uomini delle caverne (se pure venivano adorati), ma da popolazioni che praticavano l’agricoltura e vivevano in villaggi; questo il de Prada potrebbe anche non saperlo, o esserselo dimenticato. Il problema è che indicare un menhir con la parola «monolite» suona abbastanza strano, anche in spagnolo per quel che ne so: ogni menhir è un monolite (una pietra tutta d’un pezzo), sì, ma perché non usare il termine più specifico? E soprattutto, perché dire «il monolite» e non «i monoliti» o «un monolite»? Per scrupolo ho cercato se c’era da qualche parte l’originale spagnolo del testo – e ho scoperto in questo modo che gran parte dell’articolo, salvo ovviamente i riferimenti all’immediata attualità, era già apparsa il 14 luglio sul quotidiano conservatore spagnolo ABC, col conciliante titolo di «Odium fidei» (c’è anche una simpatica foto dell’autore). De Prada non butta niente, come si vede (e la traduzione dell’Osservatore è fedele):
¿A quién puede injuriar la visión de un crucifijo? No, desde luego, a quienes no hayan sido educados en el cristianismo; pues, para estos, un crucifijo será como el monolito al que adoraban los hombres de las cavernas, una figura carente de significado religioso en la que, si acaso, descubrirán un sentido histórico.
Insomma, dalla scelta dell’articolo determinativo sembra che qui si stia parlando del monolite per eccellenza, non di un menhir qualsiasi; e così son dovuto tornare al mio primo pensiero...
Lo lascio dire alla Wikipedia spagnola, alla voce «Monolito»: «La referencia cultural más conocida es el monolito de 2001: Una odisea en el espacio». Essì, il monolite per antonomasia è quello del film di Kubrick; ed è proprio quello che viene (o sembra venire) adorato dagli uomini-scimmia, che vivono nelle caverne.
Parafrasiamo allora l’affermazione di de Prada:
per quanti non sono stati educati nel cristianesimo, un crocifisso sarà come il monolite che adoravano gli uomini delle caverne nel film 2001, una figura priva di significato religioso in cui, forse, scopriranno un significato storico.
Per chi non è cristiano il monolite di Kubrick è una figura in cui scoprire un significato storico? Ma 2001 non è mica un documentario; è un film di fantascienza! Qualcosa non torna – e si fa strada il sospetto che de Prada abbia formato le proprie idee sulla preistoria nelle sale cinematografiche. Forse non è un caso che l’articolo per ABC riporti anche un paragone con «el conde Drácula o la niña de “El exorcista”»...
La mia curiosità più grande – destinata, temo, a restare insoddisfatta – è questa: cosa passava per la testa di chi ha letto questo brano (chissà, forse il coltissimo Giovanni Maria Vian, direttore del quotidiano vaticano, in persona) prima di approvare l’articolo per la pubblicazione?

(Sì, lo so, adesso dovrei parlare del passo dove de Prada paragona i laicisti europei agli «scorpioni che si pungono con il proprio pungiglione e agonizzano vittime del loro veleno», e magari dovrei anche indignarmici un po’; ma che volete, non mi riesce, comincerei a chiedermi da quale film avrà tratto la suggestiva immagine...)

Desperate housewives: endless season...

mercoledì 26 novembre 2008

La famiglia nel Codice Napoleone

Art. 148 – Il figlio che non è giunto all’età di venticinque anni compiti, la figlia che non ha compito gli anni ventuno, non possono contrarre matrimonio senza il consenso del padre e della madre; in caso che siano discordi, il consenso del padre è sufficiente [...].

Art. 151 – I figli di famiglia giunti alla maggiore età, determinata dall’articolo 148, sono tenuti prima di contrarre matrimonio a chiedere con un atto rispettoso e formale il consiglio del padre e della madre loro [...].

Art. 152 – Dopo la maggiore età determinata dall’articolo 148 fino all’età dei trent’anni compiti per i maschi, e degli anni venticinque compiti per le femmine, l’atto rispettoso prescritto dall’articolo precedente, se non sarà susseguito dal consenso per il matrimonio, dovrà rinnovarsi altre due volte di mese in mese, e scaduto un mese dopo il terzo atto, si potrà procedere alla celebrazione del matrimonio.

Art. 214 – La moglie è obbligata ad abitare col marito, e a seguitarlo ovunque egli crede opportuno di stabilire la sua residenza [...].

Art. 215 – La moglie non può stare in giudizio senza l’autorizzazione del marito, quand’anche ella esercitasse pubblicamente la mercatura, o non fosse in comunione o fosse separata di beni [...].

Art. 217 – La donna, ancorché non sia in comunione e sia separata di beni, non può donare, alienare, ipotecare, acquistare, a titolo gratuito od oneroso, senza che il marito concorra nell’atto, o presti il consenso per iscritto.

(Così, riflessioni intorno alla famiglia.)

Eluana è roba loro

Da «Eluana Englaro è roba mia... e se muore mi offendo» (Polvere di GG, 25 novembre 2008), pensieri suscitati dalla lettura di un volantino di Comunione e Liberazione:

Eluana Englaro non è al mondo per donarmi la sua presenza; né è obbligata a farlo. Eluana Englaro è di se stessa, e di nessun altro. Nessuno, nemmeno l’affetto più caro che si ha, ha il diritto di ritenersi vincolante ragione d’esistenza per chi gli sta intorno; se ciò avviene, l’affetto cessa di essere affetto e diventa un credito.
[…]
E infine: io non voglio “abbracciare Eluana”. Io non voglio, ne ho diritto di volere niente, in merito ad Eluana. Io, come voi, non conosco né ho mai visto Eluana Englaro. Io vorrei soltanto vivere in un paese laico, in cui l’autodeterminazione dell’individuo sia principio realmente condiviso.

martedì 25 novembre 2008

Miserabili

Da una nota dell’agenzia Asca:

(ASCA) - Roma, 25 nov - Eluana Englaro compie oggi 38 anni e con lei «ci saranno solo le suore misericordine che in questi anni hanno rappresentato la sua famiglia.
Il padre, Beppino Englaro, sarà probabilmente in giro per l’Italia a cercare qualche struttura sanitaria che voglia accettare il trasferimento di Eluana per poi staccare il sondino».
Lo scrive, in una breve nota, il Movimento per la Vita, che nota come Eluana festeggi il suo compleanno «nella stessa clinica Beato Talamoni dove è nata nel 1970 e dove ha trascorso gli ultimi 14 anni, dopo l’incidente stradale di cui è rimasta vittima il 18 gennaio 1992».

Il teorema di Cuccurullo

Le discussioni sui grandi temi di interesse pubblico vedono spesso un’alternarsi delle fortune degli argomenti più usati, che a tratti ricorda l’alternarsi delle mode. Nella discussione sul testamento biologico in generale, e sul caso Englaro in particolare, imperversa da qualche giorno un argomento portato alla ribalta dal professor Franco Cuccurullo, rettore dell’Università di Chieti e presidente del Consiglio superiore di sanità, che lo ha illustrato in un’intervista concessa ad Avvenire (Enrico Negrotti, «“Morirà per eutanasia. Non della sua malattia”», 20 novembre 2008, p. 7):

Si tratta di eutanasia perché la morte di Eluana sarebbe causata dalla sospensione di idratazione e alimentazione, non dalla patologia di base dalla quale è affetta. Vede, io faccio due esempi: un paziente cui si interrompe un trattamento terapeutico o quello cui si toglie il sostegno alle funzioni vitali. Il primo caso è per esempio una persona affetta da una malattia tumorale allo stadio terminale. Io posso interrompere una chemioterapia che sottopone il paziente a ulteriori sofferenze senza migliorarne le condizioni. In questo caso la morte che sopraggiunge è una conseguenza diretta della malattia da cui è affetto il paziente. Viceversa – è il secondo caso – se a un paziente io sospendo l’idratazione e l’alimentazione non muore per la sua malattia, ma muore di sete e di fame. Non è la malattia che lo fa morire, il decesso non è conseguenza diretta della patologia che lo affligge. Muore per disidratazione.
[…] Eluana Englaro non morirebbe della sua malattia, che è in uno stato stabile. C’è una forte spinta vitale in quell’organismo: per fermarla occorre sospendere idratazione e alimentazione. Cosa c’è di diverso dall’eutanasia, o dall’omicidio? Ruotiamo intorno a questi concetti, è difficile discriminare. Diverso era il caso di Piergiorgio Welby. La ventilazione meccanica era la terapia indispensabile alla [sic] sostenerlo nella sua malattia, che colpendo i muscoli rendeva impossibile anche la respirazione. La sospensione del funzionamento della macchina portava il paziente a morire della sua malattia.
La distinzione posta da Cuccurullo – il suo teorema, se mi passate il termine – è chiara: se è la malattia ad uccidere, sia nel caso del malato terminale sia di chi terminale non è (come Welby), allora non si può parlare di eutanasia od omicidio; se ad uccidere è la sospensione dell’alimentazione, sì.
Ma supponiamo che ci sia un malato nelle stesse identiche condizioni di Welby, collegato a un ventilatore artificiale; l’unica differenza è che costui non vuole morire. Se io nottetempo mi introduco in casa sua e lo stacco dal ventilatore, causandone la morte per asfissia, sono colpevole o no di omicidio? Supponiamo che davanti al giudice io usi l’argomento del professor Cuccurullo: non sono stato io ad uccidere quell’uomo, è stata la sua malattia; quale sarebbe la conclusione del magistrato?
Ma se questo è – come platealmente è – un efferato omicidio, e se pensiamo con Franco Cuccurullo che la sospensione delle cure a Welby non sia invece un delitto, su che base giustifichiamo la differenza fra i due casi? Facciamo qualche altro esempio: perché obbedire al desiderio di non curarsi di un cardiopatico va bene, e sottrargli il farmaco salvavita che intendeva assumere alla vigilia di una crisi invece no? Perché sabotare la macchina per la dialisi di un nefropatico è omicidio, e rispettare la sua volontà di sospendere la dialisi invece è un dovere professionale del medico? In tutti questi casi è sempre la malattia che uccide il paziente; l’unico fattore che cambia è la volontà di vivere del malato. Ed è questo, non altro, che stabilisce la rilevanza penale dell’omissione delle cure.
Immaginiamo adesso che in tutti questi casi io non faccia mancare al malato desideroso di vivere il suo trattamento, ma che lo chiuda in una stanza e lo lasci morire di sete e di fame. In questo caso non sarebbe la malattia ad uccidere quella persona, ma la sospensione dell’alimentazione (operata contro la sua volontà); ma ci sarebbe una differenza rispetto all’omicidio operato fermando il ventilatore, o sottraendo il cardiotonico, o rompendo la macchina per la dialisi? Sembra evidente che il giudizio, non solo sul piano giuridico ma anche su quello morale, sarebbe di assoluta identità (escludendo eventuali aggravanti per le sofferenze più o meno grandi nei vari casi): che la causa prossima sia la malattia o la fame e la disidratazione, non fa nessuna differenza.
Siamo arrivati al quarto e ultimo scenario. Supponiamo che io sospenda alimentazione e idratazione al malato consenziente; come debbo valutare questa omissione? Rispetto al caso della sospensione (sempre al malato consenziente) della ventilazione artificiale o dei cardiotonici o della dialisi, l’unica differenza è che in questo secondo caso si muore per la malattia, e non di fame e di sete; ma abbiamo appena visto che questa differenza non è moralmente né giuridicamente importante. Rispetto al caso della persona a cui sottraggo gli alimenti contro la sua volontà, l’unica differenza sta nella presenza del consenso; e abbiamo visto prima che questo fattore basta a determinare da solo la rilevanza penale di un’omissione.
La conclusione mi sembra inevitabile: non c’è nessuna differenza fra il sospendere un ventilatore (o un farmaco, o la dialisi) a una persona consenziente e sospenderle l’aimentazione e l’idratazione; il teorema di Cuccurullo, mi spiace, non sta in piedi. Quod erat demonstrandum.

lunedì 24 novembre 2008

Science, dogmas and the state

Questo è il titolo della bella recensione di Elena Cattaneo (Nature, Vol 456|27 November 2008) del libro di Armando Massarenti: Staminalia (pubblicato nel settembre 2008 da Guanda), una approfondita e molto interessante panoramica di quanto accade e di quanto è successo nel dibattito intorno alle cellule staminali. Consigliabile a quanti ancora si attaccano alla preferibilità etica delle staminali adulte rispetto alle embrionali (invocando la sacralità della vita e la mostruosità morale di sperimentare sugli embrioni) e che pretendono di mettere steccati alla ricerca scientifica (oltre che, purtroppo, mettere steccati normativi).


Giusto un assaggio.

The book then comes to its most crucial point. Those opposed to embryonic stem-cell research in Italy and elsewhere are not simply presenting their ethical or religious arguments and asking those who share them to adopt a consistent behaviour. Rather, they are denigrating scientific results by emphasizing disagreements and spreading false information about the alleged scientific or therapeutic superiority of the research that they wish to support. This approach is applied to stem-cell research today, but tomorrow could be directed at any other field of science judged to be troublesome.

Misinformation has consequences for the political guidelines that sustain research. In countries where funding allocations are based on peer review, these effects should be containable. Competition for the best ideas will not depend on a scientist’s political or religious points of view or public perception. Where conflicts of interest pollute the management and public funding of science, as in Italy, misinformation may inspire and strengthen political interference with devastating effect, beyond damaging the research that could otherwise enhance the cultural and economic contribution of a country rich in creativity.

Da leggere per intero, la recensione e soprattutto il libro.

Il beniamino di Bioetica si schiera coraggiosamente a favore dell’accanimento terapeutico

Con un’uggiosa uniformità di giudizi, quasi tutti i commentatori sono concordi nel ritenere del tutto legittima l’interruzione delle terapie nel caso del bambino di Treviso (un neonato di cinque giorni cui, nell’imminenza della morte ormai inevitabile, i medici avevano sospeso la somministrazione di pesanti medicazioni): si tratta di accanimento terapeutico, anche secondo la più ristretta e arcigna delle definizioni. Fa parziale eccezione il vescovo emerito di Treviso e commissario Cei per la Dottrina della fede, che in una dichiarazione alla Stampa si dice addolorato dall’episodio, ma poi in un soprassalto di prudenza aggiunge che bisogna capire cos’è successo veramente.
Nessun cedimento invece a queste ubbie da parte del beniamino di Bioetica, l’On. Luca Volontè, che virilmente non conosce dubbi, e parla di «introduzione di una eugenetica soft» e aggiunge: «il peggior nazicomunismo della selezione della specie è tutt’altro che scomparso». Si converrà che aver risparmiato una o due ore di atroci sofferenze a un bambino ormai condannato è un delitto efferato, degno dei peggiori totalitarismi. Un grazie sincero all’On. Volontè per averci ricordato che, checché se ne dica, l’accanimento terapeutico è una santa cosa, soprattutto se praticato sui più fragili e indifesi di noi.

La Ferita

La Ferita (via dei Georgofili 27 maggio 1003 ore 01.04)
Con Giulia Weber

di Sergio Pierattini
regia di Dominick Tambasco

TeatroLospazio.it (via Locri 42/44)
dal 18 al 20 novembre 2008 ore 21.00
www.teatrolospazio.it/joomla/

sabato 22 novembre 2008

La fine del diritto

Leggo con incredulità su Avvenire questo brano di un’intervista a Piero Alberto Capotosti, presidente emerito della Corte Costituzionale (Pino Ciociola, «“Eluana, un decreto legge per non staccare il sondino”», 22 novembre 2008, p. 7):

A proposito: alcuni magistrati ipotizzano proprio che nel distacco del sondino che garantisce alimentazione e idratazione ci siano gli estremi dell’omicidio: lei che ne pensa?
Qualora dovesse avvenire il distacco del sondino nasogastrico, si potrebbe dire che proprio questo gesto è la causa diretta del decesso della ragazza. Allora ho l’impressione che un magistrato territorialmente competente possa aprire l’indagine.

Ipotizzando un omicidio di consenziente?
Vedo più l’ipotesi di omicidio volontario, essendo dubbia nel caso di specie la manifestazione di un consenso della vittima.

E i pronunciamenti della Cassazione, presidente?
Le sue due sentenze potrebbero forse configurarsi come causa di non punibilità. Ma questo riguarderebbe la valutazioni del magistrato penale, che tuttavia, in linea di principio, certo non può essere bloccato nel suo obbligo di iniziare l’azione penale davanti a un evento che in astratto lascia prefigurare un reato.
Se davvero un atto previsto da una sentenza definitiva di un tribunale italiano non mettesse al riparo chi lo esegue da una possibile accusa di omicidio volontario, dovremmo prendere atto della fine dello Stato di diritto in questo paese. Sono convinto – voglio essere convinto – che questo non accadrà, e che le opinioni di Capotosti abbiano oggettivamente (dell’intenzione non so dire nulla) solo il valore di un’intimidazione brutale nei confronti dei medici chiamati ad eseguire il decreto della Corte d’Appello. Spero che qualche autorità intervenga a ristabilire la fiducia nella certezza del diritto, che non può che rimanere ferita da dichiarazioni di questo genere, quando sono emesse da un ex presidente della Consulta. E comincio ad avere la sensazione che nel caso Englaro sia messo drammaticamente in gioco qualcosa di ancora più fondamentale della autodeterminazione personale.

Post scriptum, ore 21:45: qui, a occhio, dovrebbe valere l’art. 51 comma 1 del Codice penale: «L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità». Io però sono un giurista della domenica, e Capotosti è presidente emerito della Corte Costituzionale...

Storia di Brandon (/Bridget)

Hanna Rosin ci racconta sul numero di novembre di The Atlantic la storia di Brandon, un bambino di una piccola città del sud degli Stati Uniti che fin da quando ha cominciato ad esprimersi sostiene di sentirsi una femmina e non un maschio («A Boy’s Life»).
Assieme alle ovvie difficoltà della vita di Brandon (che alla fine del racconto ritroviamo col nome di Bridget), veniamo a conoscere le ultime tendenze nel trattamento dei disturbi dell’identità di genere:

A recent medical innovation holds out the promise that this might be the first generation of transsexuals who can live inconspicuously. About three years ago, physicians in the U.S. started treating transgender children with puberty blockers, drugs originally intended to halt precocious puberty. The blockers put teens in a state of suspended development. They prevent boys from growing facial and body hair and an Adam’s apple, or developing a deep voice or any of the other physical characteristics that a male-to-female transsexual would later spend tens of thousands of dollars to reverse. They allow girls to grow taller, and prevent them from getting breasts or a period.
Ma per quanto promettenti, questi trattamenti non sono privi di problemi, e comportano dei dilemmi di difficile soluzione:
Even some supporters of hormone blockers worry that the availability of the drugs will encourage parents to make definitive decisions about younger and younger kids. This is one reason why doctors at the clinic in the Netherlands ask parents not to let young children live as the other gender until they are about to go on blockers. “We discourage it because the chances are very high that your child will not be a transsexual,” says Cohen-Kettenis. The Dutch studies of their own patients show that among young children who have gender-identity disorder, only 20 to 25 percent still want to switch gender at adolescence; other studies show similar or even lower rates of persistence.
The most extensive study on transgender boys was published in 1987 as The “Sissy Boy Syndrome” and the Development of Homosexuality. For 15 years, Dr. Richard Green followed 44 boys who exhibited extreme feminine behaviors, and a control group of boys who did not. The boys in the feminine group all played with dolls, preferred the company of girls to boys, and avoided “rough-and-tumble play.” Reports from their parents sound very much like the testimonies one reads on the listservs today. “He started... cross-dressing when he was about 3,” reported one mother. “[He stood] in front of the mirror and he took his penis and he folded it under, and he said, ‘Look, Mommy, I’m a girl,’” said another.
Green expected most of the boys in the study to end up as transsexuals, but nothing like that happened. Three-fourths of the 44 boys turned out to be gay or bisexual (Green says a few more have since contacted him and told him they too were gay). Only one became a transsexual. “We can’t tell a pre-gay from a pre-transsexual at 8,” says Green, who recently retired from running the adult gender-identity clinic in England. “Are you helping or hurting a kid by allowing them to live as the other gender? If everyone is caught up in facilitating the thing, then there may be a hell of a lot of pressure to remain that way, regardless of how strongly the kid still feels gender-dysphoric. Who knows? That’s a study that hasn’t found its investigator yet.”
Un’osservazione penetrante getta un po’ di luce sul perché il transessualismo sembra godere di una relativa tolleranza anche in parti del mondo dove non ci si aspetterebbe di trovarne alcuna, e può forse farci capire meglio la fortuna dei trattamenti farmacologici:
Catherine Tuerk, who runs the support group for parents in Washington, D.C., started out as an advocate for gay rights after her son came out, in his 20s. She has a theory about why some parents have become so comfortable with the transgender label: “Parents have told me it’s almost easier to tell others, ‘My kid was born in the wrong body,’ rather than explaining that he might be gay, which is in the back of everyone’s mind. When people think about being gay, they think about sex – and thinking about sex and kids is taboo.”
Tuerk believes lingering homophobia is partly responsible for this, and in some cases, she may be right. When Bill [il padre adottivo di Brandon] saw two men kissing at the conference, he said, “That just don’t sit right with me.” In one of Zucker’s case studies, a 17-year-old girl requesting cross-sex hormones tells him, “Doc, to be honest, lesbians make me sick... I want to be normal.” In Iran, homosexuality is punishable by death, but sex-change operations are legal – a way of normalizing aberrant attractions.

venerdì 21 novembre 2008

Il diritto di non subire violenza

L’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano si conferma una fucina di cattolici anomali (o forse sono anomali tutti gli altri?): dopo Vito Mancuso e Roberta De Monticelli, ecco cosa scrive oggi su Europa Roberto Mordacci («L’eutanasia non c’entra», 21 novembre 2008, p. 1):

Sul caso di Eluana Englaro si fanno molti errori logici e parecchie confusioni. Il sospetto è che alcuni di essi siano deliberati e questo non giova né all’informazione né alla riflessione pubblica.
Per esempio, l’Elefantino Ferrara dice che, se si ritiene lecita la lenta morte derivante dalla sospensione dell’idratazione e alimentazione forzate, allora è preferibile un’iniezione letale. E molti commenti alla recente sentenza della Corte di cassazione ripetono che procurare la morte per disidratazione è abominevole, una mancanza della più elementare carità umana.
Questo argomento ha soprattutto un valore retorico: il sofista Gorgia non avrebbe ragionato diversamente.
La retorica dovrebbe però cedere il passo a un minimo di chiarezza concettuale e di onestà intellettuale.
La sentenza della Corte, infatti, non ha disposto in nessun senso la morte di Eluana Englaro. Anzi, il testo della sentenza richiama costantemente e fortemente il diritto alla vita.
Diritto che va rispettato «indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa». La Corte nega recisamente che la condizione di stato vegetativo persistente possa essere giudicata in se stessa indegna di essere vissuta e dice con chiarezza che chi è in questa situazione «è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno». Nella sentenza si cerca con grande sensibilità di dare un significato non astratto all’idea di dignità umana. Quest’ultima non può che esprimersi nelle scelte personali e quindi anche in quelle che riguardano la salute. I giudici riconoscono semplicemente che «c’è chi, legando indissolubilmente la propria dignità alla vita di esperienza e questa alla coscienza, ritiene che sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in una condizione di vita priva della percezione del mondo esterno». Il nostro ordinamento, dicono i giudici, non obbliga chi ha questi convincimenti ad accettare contro il proprio volere trattamenti sanitari come l’alimentazione e idratazione tramite sondino nasogastrico.
Al contrario, chi ragiona come Ferrara ritiene che le persone abbiano l’obbligo assoluto di utilizzare sempre tutti i trattamenti medici che possano procurare la sopravvivenza, in qualunque condizione. Non esiste cioè il diritto a rifiutare le cure, nemmeno quando la persona interessata le giudica lesive della propria dignità. Per pensare così bisogna ritenere che la sopravvivenza fisica valga più della dignità umana e che sia del tutto irrilevante se un trattamento medico sia percepito dal paziente come una devastazione della propria persona. Se si può sopravvivere in forza di un qualunque artificio tecnologico, semplice o mirabolante che sia, si deve sopravvivere. A rigore, nemmeno il caso in cui ci si voglia alzare dal letto e andarsene può essere permesso: non abbiamo il diritto di opporci alla prosecuzione, operata con un qualunque mezzo, della sopravvivenza fisica. L’impossibilità di avere esperienze coscienti o una qualsiasi forma di relazione consapevole non ci autorizza a chiedere di non esagerare, di arrestare il delirio di onnipotenza medico. La biologia, supportata dalla tecnica, vale di più della persona.
Per chi ragiona così, quel rifiuto deve essere interpretato come una richiesta di eutanasia, il che è la confusione più grave di tutto questo dibattito: da sponde opposte si vuole identificare la preghiera di essere lasciato andare con la volontà di essere ucciso.
Fu questa la confusione che offuscò la discussione nel caso Welby (confusione che le stesse lettere di Welby purtroppo alimentarono) e che oggi si proietta sul caso Englaro. Sarebbe più onesto riconoscere che l’eutanasia qui non c’entra nulla e che piuttosto è in gioco un diritto più elementare e da sempre riconosciuto: quello di non subire violenza.
Parole quasi interamente condivisibili (forse la distinzione della sospensione delle cure dall’eutanasia, se è limpida dal punto di vista giuridico, lo è un po’ meno da quello morale), che fanno sperare per il futuro del cattolicesimo liberale.

giovedì 20 novembre 2008

(Non) affittasi a froci e a pervertiti - ma non è la stessa cosa?

- Pronto?
- Pronto buongiorno chiamo per l’annuncio della camera da affittare.
- Buongiorno a lei, mi dica.
- È ancora libera?
- Sì.
- Io sono gay.
- Ah madonna santa, che te devo di’ figlio mio… eh, è una cosa… non ti so dare una risposta… io non ho niente contro per l’amor di Dio perché sono una persona democratica… però sinceramente non ti so dare una risposta. Capito che voglio dirti?
Non è molto chiaro cosa intenda, ma andiamo avanti.
- Sei gay?
- Sì.
- Eh, penso che non va bene!
- E per quale motivo?
- Eh, perché? Vabbeh perché non va bene!
Risposta molto frequente tra i 2 e i 4 anni, può avere anche una versione affermativa: “Sì, perché è così!”.
- Chiamo per l’annuncio della camera per la coppia, è libera ancora?
- Sì, sì è libera. [Verrebbe con] la sua fidanzata?
- No il fidanzato.
- …
- Pronto?
- Sì.
- Siamo una coppia gay.
- Eh… nooo, la ringrazio, no.
- Per quale motivo?
- Eh… no. No, non è permesso, no. Perché qui abita il proprietario.
E chi è il proprietario, il cugino indottrinato di Sarah Palin?

Parole diverse per un concetto comune. La voce di chi telefona è di un uomo e all’inserzionista viene un colpo. Forse prima un dubbio di avere capito male. Ma no, ha detto proprio “fidanzato, il mio fidanzato”. O addirittura e inequivocabilmente “coppia gay” (guarda tu che sfacciato). E la voce è quella di un uomo, non c’è dubbio. Va bene che alcune donne hanno un timbro profondo e imponente, ma questo qui è proprio un uomo!
E allora comincia un balbettio imbarazzato oppure un secco rifiuto. Spesso il riso a sottolineare un imbarazzo adolescenziale e ipocrita.

Le ragioni? Una rassegna dei più banali e sciocchi luoghi comuni riguardo alla omosessualità.
“Mica vorrà farmi criticare da tutto il condominio?”.
“Senta io non voglio nessun via vai equivoco in casa mia!”.
“No, no, non so cosa penserebbero di me gli altri condomini”.
Alcuni si limitano a mettere giù il telefono, senza nemmeno salutare. Ma in effetti è proprio il meno, qui, il non rispettare le basi della buona educazione “buongiorno e buonasera”.
Chi stesse pensando che sia un riassunto di un bmovie omofobo o sarcastico, oppure di un documentario del vecchio e caro Tennessee, avrebbe preso una bella cantonata.
Non solo non è fiction, ma non è nemmeno il resoconto di un quartiere infestato dal Ku Klux Klan – almeno non ufficialmente.
No. È successo a Roma in questi giorni. E forse succede in tante altre città.
Francesco Palese, un giornalista di Retesole, si mette a caccia di annunci e di una stanza matrimoniale da affittare. Telefona, chiede informazioni e poi lancia la patata bollente.
“Coppia gay!? Fossi matto, la gente mormora e qui nel condominio si conoscono tutti”.
Il servizio andrà in onda stasera alle 20.35 nel corso della trasmissione “L’altra Inchiesta”.

Continua su Giornalettismo.

Tra «probabilmente» e «certamente»

Sul Foglio di ieri si leggeva questo editoriale («Eluana, probabilmente», 19 novembre 2008, p. 3):

Il professor Carlo Alberto Defanti è il neurologo che segue da anni Eluana Englaro e che chiede senza esitazioni di staccarle il sondino attraverso il quale la donna si nutre e si disseta. Eppure è proprio lui che rispondeva così a chi, due giorni fa, gli chiedeva se la condizione di Eluana è sicuramente irreversibile: “Se si vuole una risposta apodittica del tipo ‘non c’è alcuna possibilità in assoluto’, non posso darla. D’altronde in medicina sfido a trovare una singola affermazione che corrisponda a un criterio assoluto di questo tipo. Noi sappiamo in base a un’osservazione che ormai sta avvicinandosi ai diciassette anni, che su base probabilistica Eluana ha una possibilità di ripresa minima di coscienza che si avvicina a zero”. Se poi si chiede al professor Defanti se Eluana può provare sofferenza, è sempre lui a rispondere così: “Da un punto di vista teorico non è possibile dire se nonostante i danni devastanti al cervello possa avere qualche forma di sensazione, questo in linea assoluta non si può escluderlo”. Per questo, a Eluana saranno somministrati sedativi dopo il distacco del sondino. E comunque, aggiunge Defanti, nel caso della donna “probabilmente c’è una disconnessione fra la corteccia cerebrale e gli stimoli che arrivano dal mondo esterno e dal mondo interno”. Troppi “probabilmente” e nessun “certamente”, a premessa della morte di Eluana Englaro. Le parole non hanno davvero più senso, se non si riesce a misurare la distanza immensa tra “probabilmente” e “certamente”.
Che esista una distanza immensa tra «probabilmente» e «certamente» è qualcosa che fa piacere credere. Eliminare la possibilità stessa del rischio, per quanto remoto, elimina anche l’angoscia di chi si sente esposto all’aleatorietà. Ma è anche possibile? E soprattutto, quanto dev’essere bassa quella probabilità per meritare di essere eliminata? Che mondo sarebbe quello in cui nessun rischio fosse ammesso, in cui la distanza tra «probabilmente» e «certamente» fosse presa sul serio?
Rimaniamo nell’ambito della medicina, e consideriamo l’accanimento terapeutico. Non nell’accezione comune di «trattamenti medici insopportabili per il paziente», ma in quella arcigna e inflessibile del magistero ecclesiastico:
[È legittima] la rinuncia «all’accanimento terapeutico», cioè all’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo.
«Ragionevole speranza» non è la stessa cosa di «assoluta certezza»; qui il professor Defanti ha ragione (e del resto Il Foglio su questo punto non lo contesta): in medicina non esiste un criterio assoluto di questo tipo. Vogliamo la certezza? Allora la Chiesa ha torto, e l’accanimento terapeutico non deve essere proibito ma imposto: nessun sondino dev’essere mai ritirato (neppure a un papa morente), nessuna chemioterapia sospesa. Si irraggi ogni tumore ad oltranza, col paziente morente legato al lettino, ogni rianimazione cardiaca si estenda fino a quando il corpo diventa freddo. Perché le probabilità che qualcosa accada all’ultimo secondo non sono nulle, e sono spesso maggiori della probabilità che dopo diciassette anni ci si svegli dallo stato vegetativo: nella letteratura medica non si trova un caso che sia uno di un paziente uscito da questa condizione dopo tre anni, ma di remissioni spontanee dal cancro quando tutto sembrava perduto una manciata di casi se ne trova. Presto, il sottosegretario Roccella convochi un apposito gruppo di lavoro, il Parlamento emani un’apposita legge!
E che dire della vita quotidiana? Le probabilità di rimanere colpiti da un cornicione sono infime, ma non nulle: anche qui la distanza è immensa tra «probabilmente» e «certamente»... Tutti con un’adeguata protezione quindi; Giuliano Ferrara organizzi una raccolta di caschi protettivi sul sagrato del Duomo. E le famigliole che partono per le vacanze in automobile? Le probabilità di un incidente sono di vari ordini di grandezza superiori al risveglio di Eluana, non importa quanto grande sia la perizia del babbo guidatore. Il genitore snaturato che mette in questo modo a repentaglio la vita dei propri figli è un omicida potenziale, sia pure colposo. Tutti a casa: passare la vita senza vacanze non è certo peggio che passare diciassette anni in un letto d’ospedale...

Europeana

Tra poco consultabile.

mercoledì 19 novembre 2008

AnelliDiFumo alla voce politica estera

E sottolineo estera.
USA: Obama-Biden propongono unioni civili federali con adozione.

Incollo solo qualche punto. Per roderci meglio il fegato.

  • Support Full Civil Unions and Federal Rights for LGBT Couples: Barack Obama supports full civil unions that give same-sex couples legal rights and privileges equal to those of married couples. Obama also believes we need to repeal the Defense of Marriage Act and enact legislation that would ensure that the 1,100+ federal legal rights and benefits currently provided on the basis of marital status are extended to same-sex couples in civil unions and other legally-recognized unions. These rights and benefits include the right to assist a loved one in times of emergency, the right to equal health insurance and other employment benefits, and property rights.
  • Oppose a Constitutional Ban on Same-Sex Marriage: Barack Obama voted against the Federal Marriage Amendment in 2006 which would have defined marriage as between a man and a woman and prevented judicial extension of marriage-like rights to same-sex or other unmarried couples.
  • Repeal Don't Ask-Don't Tell: Barack Obama agrees with former Chairman of the Joint Chiefs of Staff John Shalikashvili and other military experts that we need to repeal the "don't ask, don't tell" policy. The key test for military service should be patriotism, a sense of duty, and a willingness to serve. Discrimination should be prohibited. The U.S. government has spent millions of dollars replacing troops kicked out of the military because of their sexual orientation. Additionally, more than 300 language experts have been fired under this policy, including more than 50 who are fluent in Arabic. Obama will work with military leaders to repeal the current policy and ensure it helps accomplish our national defense goals.
  • Expand Adoption Rights: Barack Obama believes that we must ensure adoption rights for all couples and individuals, regardless of their sexual orientation. He thinks that a child will benefit from a healthy and loving home, whether the parents are gay or not.

Io applico il paradosso a delle persone di carta (Silvia Ballestra)

Piove sul nostro amore

Giuliano Ferrara intervista Silvia Ballestra in Faccia a Faccia del 14 novembre scorso (RadioTre).
Le connessioni causali e logiche di Ferrara sono le solite.
“Quando un bambino viene fecondato – la scelta è se sopprimerlo oppure no” per esempio (il corsivo è mio, anche perché dal parlato era difficile farlo).
Oppure la smentita della libera scelta: pro-life o pro-death, non esiste la scelta (pro-choice) perché, tanto per capirsi, se abortisci non scegli ma uccidi e se non abortisci sei a favore della vita. Che scelta e scelta?!
Ma Silvia Balestra non fa una piega e non cade nei tranelli.
Se volete sentire con le vostre orecchie è qui (i primi otto minuti parla solo Ferrara, si può cominciare da lì).
Ballestra sottolinea alcune questioni centrali.
Se si parla tanto di maternità e di famiglia sacra Ballestra invita a parlarne a livello politico, rivedendo le politiche del welfare e la legge sull’immigrazione (già).
Ci ricorda le dimissioni in bianco (già).
Ma abortire è una questione relazionale - interviene Ferrara - perché c’è un altro.
E Ballestra prosegue nel ricordare questioni centrali.
Che esiste la scelta delle donne. Che esiste una legge che ha ridotto di molto gli aborti, oltre alle terribili conseguenze degli aborti clandestini. E che è una legge giusta.
A Ferrara risponde che non vuole convincere nessuno. E che chi non la pensa come lei è liberissimo di pensare e di agire secondo le proprie preferenze. Invece chi non vuole farlo rompe un po’ le scatole agli altri (già, crudele asimettria tra libertà e coercizione, dimenticata dai fautori della coercizione oppure mal compresa. Se esiste libertà si può scegliere di essere schiavi; se si è schiavi nessuna scelta è concessa, se non una caricatura di essa).
Ricorda gli alti tassi di obiezione di coscienza e la difficoltà della applicazione della 194 (difficoltà pericolose per le donne, per i tempi delle liste di attesa e per la difficoltà di trovare una struttura che garantisca che una legge sia applicata - già).

Oh, l’onnipresente eugenetica non può mancare dal repertorio di Ferrara (e il suo pervertimento semantico per tirare in ballo il fantasma di baffone): ne ho scritto talmente tante volte che mi sento una macchinetta inceppata e sono indecisa sul link da mettere. Alla fine scelgo questo.
“La vita in generale è un problema?” domanda in conclusione.
Intende quando finisce e quando comincia. E arriva ad Eluana Englaro: è tentato di adottare il silenzio stampa, dice, e da queste parti si trattiene il respiro dall’emozione.
Invece poi continua a parlarne con parole di pessimo gusto. Non tace. E dire che ci avevamo creduto, seppure per pochi secondi.
E Ballestra ricorda che sarebbe stato meglio iniziarlo al tempo delle bottigliette.
Poi protesta contro la rivendicazione da parte di Ferrara di brandire dei paradossi.
Io applico il paradosso a delle persone di carta non sulle persone in carne ed ossa chiarisce. E allora Ferarra prosegua pure a parlare, noi non lo ascoltiamo più.
Io applico il paradosso a delle persone di carta non sulle persone in carne ed ossa.
Grazie a Silvia Balestra per la pazienza. La capiamo bene e ha tutta la nostra stima.

Silvia Ballestra, Piove sul nostro amore. Una storia di donne, medici, aborti, predicatori e apprendisti stregoni, 2008, Feltrinelli.

martedì 18 novembre 2008

Facciamo a chi la spara più grossa?

Difficilmente si arriverà ad una decisione definitiva: tuttavia la proposta di Magdi cristiano Allam di adottare Eluana Englaro (a distanza, si intenda) per ora si piazza bene sul podio. Un buon miscuglio di cattivo gusto e altri ingredienti che non posso nominare (non vorrei passare i guai con uno che afferma Sono sempre più preoccupato per la grave deriva religiosa ed etica presente in seno al Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso presieduto dal cardinale Jean-Louis Tauran, tendente a legittimare sempre più l’islam come religione e ad accreditare Maometto come profeta.) Da notare la forza argomentativa del suo appello, qualcosa tipo: non è attaccata a nessun macchinario, non assume farmaci (è falso, ma poi cosa significherebbe?), ha solo un sondino... Magdi per favore, perché non segui il nostro di appello e te ne stai zitto se devi dire tali insulse schifezze?
Un buon esercizio è quello di tenere a memoria i nomi degli aderenti allappello del Magdi (Il diritto di Eluana alla vita di Eluana, quella alla scelta non le è concesso), così tanto per regolarsi.
Dettaglio curioso: un tale con lo stesso nome che prima si firma giornalista e poi pensionato: il tenore del messaggio, però, è proprio lo stesso.

La fuga dei corpi

Silvia Ballestra, «All’estero anche per morire» (L’Unità, 17 novembre 2008, p. 48):

A questo siamo, nel caso Englaro. Al dover peregrinare per l’Italia in cerca di una struttura pubblica che possa ospitare Eluana nel suo ultimo viaggio. Nell’ipotesi peggiore, rimane la fuga all’estero, forse Austria, forse Slovenia. Caso estremo in cui saremmo tutti noi, cittadini italiani, a uscirne sconfitti e umiliati. Dopo la fuga dei cervelli, ecco la fuga dei corpi. Andare all’estero per lavorare ai più alti livelli. Andare all’estero per abortire con la Ru486. Andare all’estero per vedersi riconosciuto il diritto a convivere legalmente anche tra persone dello stesso sesso. Andare all’estero per poter usufruire in sicurezza e legalità della procreazione assistita. Insomma andare all’estero per nascere e ora – è il rischio – anche per morire.

lunedì 17 novembre 2008

Il poeta dà un nuovo senso alle parole

Davide Rondoni, «All’improvviso moine e inchini. Le parole vere fan paura» (Avvenire, 16 novembre 2008, p. 2):

Per autodeterminazione gli elettori tedeschi scelsero il nazismo e la soppressione delle razze deboli o minori.

domenica 16 novembre 2008

Il silenzio, vi prego, su Eluana Englaro

Il Movimento per la Vita, riunito a Montecatini, scrive al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Signor Presidente, il Movimento per la vita, con i 550 delegati riuniti a Montecatini per il XXVIII convegno nazionale dei Centri di aiuto alla vita, si permette di sollecitarle un atto straordinario con cui esercitare la sua autorità morale: le chiede di fare quanto possibile perché Eluana Englaro possa conservare la ‘grazia’ di continuare a essere curata e amata dalle Suore Misericordine che attualmente la ospitano e che in questi anni l’hanno sempre accudita amorevolmente”.

Scienza & Vita, subito dopo la decisione della Cassazione, ha dichiarato: “Chiediamo che alla lunga fine di Eluana, proprio perché si tratta di una vera e propria condanna a morte in età repubblicana, non solo assistano alcuni testimoni, ma possa essere registrata in video e messa a disposizione di quanti ne facciano richiesta. [...] Così i nostri figli e i nostri nipoti potranno scoprire come un cittadino italiano possa essere condannato da un giudice di uno Stato civile e democratico a morire di fame e di sete”.

Davanti alla clinica, in strada, c’è un uomo con un cartello bianco e la scritta: “Condanna a morte non in mio nome”.
Rappresentanti del Movimento per la Vita protestano e Paolo Gulisano (a nome del MPV) chiede indignato di far vedere Eluana Englaro, chiede di far entrare le telecamere. Chiede, chissà se come provocazione o come punizione, la pornografia più atroce immaginabile: un Truman Show per sedare il loro inestinguibile cattivo gusto. MPV dovrebbe stare per Movimento per la Vergogna – la loro, che non hanno. Nemmeno l’ombra.
Il tg1 fa il quiz sulla sentenza: “sì o no”?
Vomitevole.

Sono solo pochi esempi delle reazioni che non accennano a lasciare spazio al doveroso silenzio.
Tutti questi figuri abusano della lingua italiana e della pazienza di tutti noi.
Questi difensori della “Vita” pronunciano parole e frasi senza coglierne la violenza e l’orrore.
Sorprende, poi, che si attacchino con tanta cieca ostinazione alla vita terrena, anche quando di questa non restano che poche sembianze, anche quando (o bisognerebbe dire soprattutto?) il legittimo proprietario non la vuole più portare avanti (ma per loro la vita non è disponibile, che cosa significa poi? Dove va a finire il libero arbitrio? Non è dato sapere).
Nessuno di loro ha speso una sola parola sulla volontà di Eluana. Nessuno. I pochi che l’hanno nominata lo hanno fatto per asserire con apodittica certezza che quella di non sopravvivere in queste condizioni era la volontà “vecchia” di Eluana, e che oggi non varrebbe più. Oppure che era stata fatta in una condizione diversa – diversa da cosa? Possibile che la nostra identità e il nostro volere siano tanto labili per questi signori? Possibile che non si facciano problemi a decidere per gli altri mentre ribadiscono che il mio io di oggi non potrebbe decidere per il mio io di domani perché sarà diverso? Quanto sono diversi, loro, da me?
Quando affermano che la volontà di Eluana, espressa in condizioni di salute (perciò diverse da oggi) non vale perché non è più in salute, non si rendono conto che rischiano di vanificare tutte le confessioni in punto di morte? Perché vale abbracciare la loro religione (solo mentre si sta per morire, magari per una malattia, ma comunque pur sempre in punto di morte quindi non in condizioni ideali) e non esprimere una volontà su altre questioni? Inoltre Eluana, oggi, non ha più la possibilità di esprimere una volontà, perché non ce l’ha più una volontà. E allora sembra ragionevole seguire quella che aveva espresso, seppure in condizioni diverse, perché era pur sempre la sua volontà, e non quella di persone che non ci hanno nemmeno mai parlato con Eluana.
Non serve una intelligenza sopraffina, basterebbe un minimo di senso estetico.
Come direbbe l’ispettore Bloch a Dylan Dog: serve un antiemetico!

Ps
Questo invito al silenzio non è propriamente un appello o una petizione: è l’espressione di un senso di ripugnanza. Chi ha voglia di condividerlo e di diffonderlo è benvenuto (potete scriverci a bioetiche@gmail.com o lasciare un commento).
Per evitare una possibile contraddizione dello scrivere per invitare al silenzio (perciò rompendo quel silenzio stesso) aggiungiamo che il silenzio di cui parliamo è l’alternativa a parole oscene, offensive, intrise di crudeltà. Quelle che chiedono l’esposizione di Eluana e l’ostentazione pubblica della sua morte. Ecco: di fronte a tutto questo è meglio tacere. E permettere alla famiglia Englaro di vivere il proprio dolore senza aggiungere la vergogna di condividere la cittadinanza italiana con questa gente.

Pps
Desidero aggiungere un link a Lasciamo che Eluana riposi in pace (Noi Siamo Chiesa).

Riflessioni su alcune amabili contraddizioni (o del gioco delle tre carte)

Concentrandomi su una (presunta) obiezione usata spesso, e con l’illusione della apoditticità, mi venivano in mente un paio di domande, o di eccezioni chiamiamole così.
La (presunta) obiezione ha a che fare con l’attualità e la validità di una volontà passata. Prende due forme.
La prima nel caso di un paziente cosciente (si pensi a Piergiorgio Welby): si dice che il paziente in quelle condizioni non può esprimere una vera volontà perché è oppresso dalla malattia e dalla morte.
La seconda nel caso di un paziente incosciente (si pensi ad Eluana Englaro): si dice che il paziente in quelle condizioni non avrebbe espresso la stessa volontà perché allora era sano, oggi è malato.

Abbiamo provato a fornire varie risposte alle suddette obiezioni, ma è difficile ragionare con chi non ne ha voglia e si rischia di farsi venire il mal di stomaco e di sembrare più irragionevoli di chi non vuole ragionare.
Stamattina pensavo a due casi che potrebbero essere scomodi per chi abbraccia quelle obiezioni lì.
Il primo riguarda la validità delle conversioni al cattolicesimo in punto di morte: si potrebbe domandare loro perché vale abbracciare la loro religione (in punto di morte, magari per una malattia, ma comunque pur sempre in punto di morte quindi non in condizioni ideali) e non esprimere una volontà su altre questioni. Se si è abbastanza in grado di intendere e di volere per convertirsi, non si è altrettanto in grado di rifiutare un respiratore o una terapia farmacologica? Perché nel primo caso la libertà di scelta vale, e nel secondo no?
Il secondo riguarda la validità di una volontà espressa in stato di coscienza e considerata ancora valida quando quella coscienza non c’è più: chi ricorda il caso di Lorenzo D’Auria, agente del Sismi sposato in articulo mortis? (Ovvero ritenendo valida una volontà pregressa, impossibile da attualizzare perché D’Auria era in coma quando è stato celebrato il matrimonio?). Come mai in quel caso si è considerato valido il suo modo di vivere, ciò che aveva detto (e nemmeno lasciato per iscritto) per celebrare un matrimonio?
Qualcuno sa rispondere?

La fine della fede

Non mi è piaciuto molto l’editoriale di Chiara Geloni apparso ieri su EuropaCara Unità, quel titolo su Eluana era sbagliato», 15 novembre 2008, p. 2): mi sembra sbagliata l’affermazione che nella vicenda Englaro tutti hanno torto, che la verità andrebbe ricercata in una posizione ‘terza’, che però non viene mai esplicitata. Ma il pezzo contiene anche un giudizio fulminante, che invece è prezioso per la chiarezza che getta su un aspetto della vicenda:

Considerare la morte una liberazione dalle sofferenze – pensate che paradosso – è un’idea tradizionalmente cristiana, almeno quanto rifiutare l’idea del morire e aggrapparsi a tutti i costi alla vita è il riflesso di un modo di pensare che non è quello della fede.
Ed è proprio così. La progressiva concentrazione della Chiesa sui temi della bioetica, che è iniziata almeno da trent’anni, al tempo del referendum sull’aborto, e che prosegue con passo sempre più rapido, sta cambiando il contenuto stesso della fede, in alcuni casi rendendolo irriconoscibile. Si leggono talvolta dichiarazioni di scrittori cattolici di un biologismo talmente brutale che farebbero vergognare il più sfrenato dei materialisti atei. Se è vero che la considerazione per la libertà di coscienza non è mai stata grande nel pensiero del Magistero ecclesiastico, almeno quella per la vita dello Spirito era una volta produttiva e irrinunciabile; ma oggi, per la definizione dell’umano, all’anima si sono sostituite le funzioni metaboliche di base. Giunta nell’età della sua vecchiezza, una Chiesa ormai cieca si lascia condurre senza proteste, anzi volentieri, là dove una volta non avrebbe voluto andare.

sabato 15 novembre 2008

Il consenso informato alla rovescia

Il Giornale intervista Francesco D’Agostino sul caso Englaro («Il giurista cattolico: “Questa sentenza toglie dignità alla vita”», 15 novembre 2008, p. 7). Nessuna novità nelle risposte, ma un punto merita di essere segnalato e commentato:

Eluana parlava di certi argomenti in modo colloquiale: non è mai stata adeguatamente informata da un medico, come prevede il consenso informato.
Senonché il consenso informato è richiesto per applicare un trattamento medico, non per rifiutarlo. Il medico è tenuto ad informarmi correttamente sulla terapia da intraprendere, ma io non ho l’obbligo di ascoltarlo; il mio rifiuto può essere perfettamente disinformato, e non per questo meno valido. Mi posso benissimo turare le orecchie e dire: Non voglio ascoltare; posso persino evitare del tutto ospedali e studi medici. L’importante è che le informazioni fossero disponibili, e che quella di non prenderle in considerazione sia stata una mia libera scelta. Esiste un diritto all’informazione, non un dovere di informarsi; sarebbe del resto assurdo se non fosse così.
Quindi, anche se il rifiuto di Eluana di vivere attaccata al tubo della nutrizione artificiale non fosse stato basato su informazioni mediche adeguate, esso rimane comunque perfettamente valido. Certo, se si dimostrasse che la ragazza aveva un’idea gravemente falsata della sua condizione attuale il discorso potrebbe essere diverso. Ma dalle testimonianze questo non risulta (e nessuno del resto l’ha mai sostenuto): l’essenziale – la triste verità essenziale – le era noto.

Ma c’è chi non si rassegna

Su Avvenire di ieri un’intervista al professor Giuliano Dolce (che i lettori di Bioetica già conoscono) ci rivela che qualcuno ancora non si è rassegnato a che i diritti di Eluana Englaro vengano infine rispettati. Afferma infatti Dolce («“Scelta pilatesca delle toghe faremo ricorso a Strasburgo”», 14 novembre 2008, p. 3):

Siccome si dice che andrà all’ospedale civile di Udine, in Friuli, mi risulta che una struttura pubblica non possa ospitare una persona, un cittadino della Repubblica, per farla morire anziché curarla. Quindi, sono intenzionato a denunciare i sanitari e i dirigenti che permetteranno che la donna muoia. E non è l’unica cosa che faremo.

Quali altre iniziative avete progettato?
Oggi stesso presenteremo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. Oltre all’associazione Vive, abbiamo il sostegno di 33 realtà tra cui la Federazione nazionale trauma cranico. Abbiamo qualche speranza, i requisiti per accogliere d’urgenza il ricorso ci sono tutti. Non ci illudiamo, ma la Corte europea potrebbe ancora fermare tutto e riaffermare il diritto di questa donna ad essere nutrita.

Su cosa si fonda il ricorso?
Noi rappresentiamo chi si prende cura dei 30 mila pazienti in stato vegetativo e riteniamo che con la sentenza di ieri l’Italia abbia violato diversi trattati internazionali. Uno su tutti, la Convenzione Onu sulla disabilità del 2006. Eluana dal punto di vista medico è una persona in stato vegetativo persistente ed­ è clinicamente guarita, ma in maniera imperfetta ed­ è affetta da disabilità al massimo grado. La convenzione, sottoscritta dall’Italia un anno fa, le garantisce, in un comma dell’articolo 25, il diritto ad assumere cibo e fluidi. Purtroppo i giudici milanesi ignoravano tutto ciò e anche quelli della Cassazione.
Mi risulta difficile comprendere come un atto autorizzato da un tribunale della Repubblica (che nel decreto corrispondente, come del resto è ovvio, non fa distinzione fra strutture sanitarie pubbliche o private) possa rendere passibile di denuncia chi lo compie. Non si capisce dunque cosa abbia in mente Dolce; al di là delle sue intenzioni, la denuncia minacciata assume il carattere oggettivo di un’intimidazione nei confronti dei sanitari che vorranno prestare la loro opera per adempiere alla volontà di Eluana e al decreto della Corte d’Appello. A nessuno piace la prospettiva di ricevere una denuncia, anche se si è certi di agire nella legalità.
Vale forse la pena ricordare al professor Dolce che esiste in giurisprudenza una cosa chiamata «lite temeraria», che consiste nel promuovere una causa civile pur sapendo di non avere valide ragioni per farlo, e che è duramente sanzionata. In campo penale non esiste purtroppo un analogo istituto (viene punito solo chi denuncia una persona calunniandola), ma le cose stanno cambiando. Scrive l’avvocato Ugo Dal Lago, proprio a proposito delle cause a danno di medici («Il danno patito dall’ingiusta accusa è risarcibile?», Pdf):
Alcuni giudici di merito hanno già superato queste barriere, ravvisando già da tempo la responsabilità aquiliana del denunciante non solo quando la denuncia venga fatta con dolo, ma altresì con colpa grave (Trib. Napoli, 22.1.2000, Giur. napol., 2000, 431) affermando che anche qualora non possa configurarsi una calunnia, nel caso di una denuncia penale per un reato perseguibile di ufficio priva di fondamento (con la conseguente assoluzione dell’incolpato) la condotta del denunciante può essere fonte di responsabilità civile, non solo quando sia stata determinata da dolo, ma altresì quando sussista una colpa grave (Trib. Bologna, 12.5.1994, Giur. Merito, 1995, 29).
Quanto al ricorso alla Corte di Strasburgo (che non ha effetto sospensivo sull’esecuzione della sentenza Englaro), le probabilità che possa venir accolta sembrano nulle. L’art. 25 della Convenzione Onu citata recita, nel passo rilevante:
States Parties shall […] prevent discriminatory denial of health care or health services or food and fluids on the basis of disability.
Ma la nutrizione artificiale non verrà sospesa ad Eluana Englaro «sulla base della sua disabilità»: la base del decreto del tribunale sta nelle volontà della donna, espresse chiaramente a suo tempo. Nello stesso articolo citato della Convenzione si legge del resto:
[States Parties shall] require health professionals to provide care of the same quality to persons with disabilities as to others, including on the basis of free and informed consent [corsivo mio].
La traduzione ufficiale francese si comprende ancora meglio:
[Les États Parties] exigent des professionnels de la santé qu’ils dispensent aux personnes handicapées des soins de la même qualité que ceux dispensés aux autres, notamment qu’ils obtiennent le consentement libre et éclairé des personnes handicapées concernées.
Il professor Dolce deve aver casualmente saltato queste righe, quando ha letto il testo della Convenzione...

venerdì 14 novembre 2008

Roberto Capezzone

Cazzata più, cazzata meno. (La fonte)

La peggiore delle tirannidi

Adriano Sofri sulla Repubblica di oggi («Tristi e consolati», 14 novembre 2008, p. 1):

La peggiore delle tirannidi non è quella che uccide i suoi sudditi: è quella che arriva a impedire loro perfino di uccidersi.

Oggi vince la libertà di decidere

La Cassazione ha giudicato inammissibile il ricorso contro la sospensione della nutrizione e della idratazione artificiali di Eluana Englaro.
La volontà della ragazza, che è in stato vegetativo permanente e persistente dal 1992, può essere finalmente rispettata. È stato il padre Beppino a prestarle la sua voce, la sua ostinazione e il suo profondo senso di giustizia. Era intollerabile, per Beppino, che allo straziante destino della figlia si aggiungesse l’umiliazione della volontà di Eluana, ricostruita meticolosamente dal decreto della Corte d’Appello di Milano la scorsa estate. Eluana non avrebbe voluto sopravvivere in queste condizioni di totale incoscienza e in assenza di una qualsiasi speranza di cambiamento del suo stato, che quello stesso decreto definiva come irreversibile.
Ha dovuto aspettare centinaia, migliaia di giorni: il padre ne ha tenuto il conto come fanno i carcerati. Ieri erano 6.145.
In nome della Vita e di altre parole, svuotate del loro significato originario o forzate fino all’assurdo, in molti hanno cercato di calpestare Eluana e i desideri che aveva espresso prima dell’incidente.
Ieri, finalmente, è stato ribadito un principio fondamentale: la libertà di decidere della propria vita.
Ieri, finalmente, il clamore e la battaglia possono lasciare spazio al silenzio. La vicenda della famiglia Englaro può tornare privata. Il dolore, inestinguibile, può almeno abbandonare la rabbia della rivendicazione di un legittimo volere. Fino ad oggi ignorato. Un volere che è personale, soggettivo: non c’è alcuna aspirazione universalizzante.
Speriamo che anche i difensori della sopravvivenza a tutti i costi e contro il volere di chi non vuole sopravvivere scelgano il silenzio. In caso contrario, che parlino pure, se non hanno alcun senso dell’osceno; si abbandonino pure ai commenti più inappropriati e disumani, loro che si dichiarano difensori dei valori con la “V” maiuscola dimostrano una totale assenza di decenza.

DNews, 14 novembre 2008

Formigoni dice

Che la volontà di Eluana Englaro non sarebbe stata accertata perché le testimonianze sono vecchie.
Formigoni?!, se Eluana potesse esprimerle adesso le sue volontà lo farebbe, e forse aggiungerebbe anche un commento stizzito per queste idiozie.

giovedì 13 novembre 2008

Morte per fame?

È necessario, di fronte a commenti poco informati sulla sorte di Eluana Englaro, che minacciano di diventare valanga nelle prossime ore e nei prossimi giorni, fare chiarezza su un aspetto della vicenda. Lo facciamo ricorrendo alle parole del senatore Ignazio Marino, medico e cattolico:

Si discute inoltre sulla possibilità che la donna possa soffrire a causa della sospensione del trattamento che le fornisce idratazione e alimentazione.
Su questo punto Ignazio Marino ci tiene a fare chiarezza: «Al di là delle legittime posizioni personali in proposito e del valore simbolico che la nutrizione (mangiare e bere) hanno nell’immaginario collettivo, vorrei che il dibattito sulla fine della vita si basasse su informazioni scientificamente esatte, in modo che i cittadini possano consapevolmente formarsi un’opinione».
«Mi preme sottolineare che la letteratura scientifica, peraltro facilmente reperibile nell’archivio pubblico del National Institutes of Health, che come si sa è il più grande istituto governativo di ricerca clinica di tutto il pianeta, è chiara: non solo la sospensione dell’idratazione non comporta sofferenze per il paziente, ma può stimolare il rilascio di endorfine e composti biologici dall’effetto anestetico che favoriscono un senso di benessere nel paziente. Questa è l’opinione dell’autorevolissimo NIH e delle grandi riviste internazionali di medicina, e contraddice chiaramente ciò che sostengono alcuni giornalisti e politici poco informati».

La vergogna è un sentimento in via di estinzione

Per fare solo un esempio di pessimo gusto ecco le dichiarazioni di Scienza&Vita:

Chiediamo che alla lunga fine di Eluana, proprio perché si tratta di una vera e propria condanna a morte in età repubblicana, non solo assistano alcuni testimoni, ma possa essere registrata in video e messa a disposizione di quanti ne facciano richiesta. [...] Così i nostri figli e i nostri nipoti potranno scoprire come un cittadino italiano possa essere condannato da un giudice di uno Stato civile e democratico a morire di fame e di sete.

Prepariamoci

Alla valanga di commenti disgustosi che si scateneranno da ora in poi.

Aggiornamento: il primo commento trovato su google news.
''Davvero non pensavamo si arrivasse a tanto. La Cassazione firma la condanna a morte di Eluana Englaro ed apre una ferita profonda nel Paese difficilmente rimarginabile''. E' quanto si legge in una dichiarazione di Isabella Bertolini, componente del direttivo del Pdl alla Camera dei Deputati. ''La decisione della Suprema corte segna - secondo Bertolini - l'entrata in vigore dell'eutanasia nel nostro Paese''.

''Con questa sentenza - continua la parlamentare del Pdl- si afferma una cultura della morte che noi respingiamo con forza ed indignazione. Un precedente pericoloso che non riguarda soltanto Eluana ma migliaia di malati terminali in Italia''. Speriamo, conclude Bertolini, ''non si scateni un effetto domino difficilmente controllabile''.

Autorizzazione della sospensione della nutrizione e idratazione artificiali per Eluana Englaro

Da rainews 24:

Le sezioni Unite civili della Cassazione hanno dichiarato inammissibile per "difetto di legittimazione" il ricorso sulla vicenda di Eluana Englaro. La procura generale di Milano, in sostanza, non poteva impugnare la decisione con cui era stata autorizzata la sospensione dell'alimentazione artificiale che tiene in vita Eluana. I supremi giudici hanno così accolto la richiesta fatta dal Pg della Cassazione Domenico Iannelli nell'udienza pubblica di martedì scorso della Procura di Milano contro il provvedimento del luglio scorso.

"E' la conferma che viviamo in uno stato di diritto". Così Beppino Englaro, il padre di Eluana, ha commentato la decisione della Cassazione. La donna è in stato vegetativo permanente da quasi 17 anni.

Dell’amore e della morte (a Nassiriya)

Fight

Uomini caduti in nome dell’Italia. E donne la cui attesa non finirà mai. Oltre al danno, poi, l’umiliazione di vedersi sbattuto in faccia un amore senza carta e che dunque, non vale niente.

Sono passati cinque anni dalla morte di 19 italiani a Nassiriya, in quella missione di pace sporcata da sangue e rimpianti. Cinque anni ricordati, ieri, con una targa di ottone inchiodata sul muro di sinistra della Sala Conferenze del Senato. E denudata dal drappo rosso cupo che la copriva nel corso della commemorazione ufficiale. Alla presenza, tra gli altri, di Renato Schifani, presidente del Senato, Gianfranco Fini, presidente della Camera, Maurizio Gasparri; uniformi e occhi lucidi. Tutti in piedi, stretti, ammassati.

ONORE E UMILIAZIONE - È Schifani a prendere la parola alle 11,45, mentre una bambina di circa un anno piange e piange. Impettiti tutti si alternano sul pulpito. Alcuni sembrano distratti dall’idea del prossimo appuntamento, ma per lo meno nessuno ride come in altre occasioni. “La memoria di chi ha dato la vita per il nostro Paese non appartiene alle Forze Armate, né alle istituzioni, né ad una parte politica, ma è patrimonio indissolubile dell’intera collettività”, dice. Poi tocca a Ignazio La Russa, il quale sottolinea che “la morte ha dato alla loro vita [quella dei morti o la loro?] un significato profondo”. Chissà se c’è qualcuno che abbocca ancora a questa retorica. Intanto la bimba urla e urla a squarciagola. Peccato non si possa chiedere a quelli che sono morti. Anche se chi sceglie la carriera militare non può non mettere in conto il rischio di morire. Ma è pur vero che ci sono molti modi di morire, sebbene nella livella della morte è possibile distinguerli. Sarebbe doveroso riconoscere e distinguere la responsabilità. E poi magari per qualcuno è la vita a dare un significato profondo; un po’ meno la morte. C’erano poi due civili italiani: Stefano Rolla e Marco Beci. Anche per loro vale la profondità del significato della morte? E c’erano anche nove civili iracheni. E ci sono parole, tante parole che non smettono di rimbombare, fino a coprire quelle ufficiali e di circostanza: “Ma lei che lo amava aspettava il ritorno d’un soldato vivo/d’un eroe morto che ne farà?”. Il cerimoniale non è in grado di rimediare o di cancellare l’ingiustizia: non solo per un destino mortale (evitabile?) ma per quanto quelle morti hanno causato. Anzi: soprattutto per quanto una di quelle morti ha causato. Quella di Stefano Rolla. L’ingiustizia e la discriminazione oltre al dolore. E l’assenza di comprensione umana. Verso la compagna Adele Parrillo. E se il dolore è privato e inestinguibile, l’umiliazione pubblica era ed è evitabile. È un crudele carico che non è alleggerito dall’invito ufficiale alla cerimonia di ieri, né a tutte quelle che seguiranno foss’anche in eterno. L’umiliazione di un mancato riconoscimento pubblico, nel suo valore simbolico e in quello pratico.

(Continua su Giornalettismo, 13 novembre 2008)

mercoledì 12 novembre 2008

I moduli per la nomina dell’amministratore di sostegno

Dopo i moduli per il testamento biologico, sono disponibili da poco in rete una serie di facsimili per la nomina dell’amministratore di sostegno (in formato doc sul sito dell’Associazione Gruppo Donne e Giustizia e dell’Associazione Luca Coscioni, in formato pdf sul forum dell’Associazione Donne Giuriste). I moduli sono stati curati dall’avvocato Maria Grazia Scacchetti, e vanno adattati di volta in volta al caso specifico di chi vorrà utilizzarli.
L’amministratore di sostegno è un tutore delle persone non autonome, anziane, disabili o malate, incapaci anche solo temporaneamente di provvedere ai propri interessi. Viene nominato dal giudice tutelare e scelto, quando è possibile, nello stesso ambito familiare dell’assistito. La figura, istituita con la legge n. 6, 9 gennaio 2004, è stata estesa in due casi recenti a garantire il rifiuto dei trattamenti sanitari: a maggio di quest’anno una donna di Modena, affetta da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), ha nominato amministratore di sostegno il proprio marito, per garantire che il proprio rifiuto di essere sottoposta a tracheostomia (e quindi alla ventilazione artificiale) fosse rispettato, una volta perduti i sensi; così è avvenuto, e la donna si è potuta spegnere in pace. A novembre, pochi giorni fa, un uomo in buona salute, sempre di Modena, ha ottenuto la nomina preventiva della moglie ad amministratore di sostegno, nell’eventualità di essere colpito in avvenire da una malattia o altra invalidità che ne inficino la capacità di rifiutare le terapie. Il legale dell’uomo è lo stesso avvocato Scacchetti che ha curato i facsimili; una copia del decreto del giudice tutelare con cui si procede alla nomina si trova nel fascicolo online.

La procedura per nominare un amministratore di sostegno è indubbiamente più lunga e onerosa della semplice compilazione di un modulo, ma offre anche garanzie maggiori. Bisognerà comunque vedere se la legge che si annuncia sul testamento biologico non chiuderà in tutto o in parte questa via d’uscita.

Obama e l’assisted suicide

L’entusiasmo italiano per la vittoria del candidato democratico in Usa non sembra poter portare a interventi concreti simili a quelli americani. Dove, ad esempio, il suicidio assistito è già una realtà.

L’entusiasmo obamiano ha travolto tutti – almeno molti. Feste, bandierine, facce inebetite. L’augurio, adesso, è che tutto questo invocare il nuovo, “we can”, i diritti civili e i cambiamenti non rimangano vuote parole, dimenticate e rimpiazzate dalla palude indigena. Certo la figura barbina del cavaliere e di altri stimabili rappresentati del nostro Paese non va in questa direzione. Basterebbe che una parte della sentita partecipazione alla vittoria di Barack Obama fosse trasformata in azioni per rimediare al paternalismo e al clima illiberale. Ma i segnali sono sconfortanti. L’esempio più significativo è la discussione sul testamento biologico: verosimilmente uscirà dal Parlamento una legge profondamente lesiva dell’autodeterminazione e del buon senso (perché si vuole rendere il testamento non vincolante; si vuole sottrarre alla decisione la nutrizione e l’alimentazione forzata; si vuole introdurre l’obiezione di coscienza – si vuole, in un parola, mangiare dall’interno il corpo normativo e consegnare una carcassa in putrefazione).

(Continua su Giornalettismo, 12 novembre 2008)

martedì 11 novembre 2008

Lucetta sul Corriere della Sera

Baby

Grazie alla selezione dell’ovocita materno, veniamo a sapere dai giornali, è nata una bambina “sana, libera dalla grave malattia che rischiava di ereditare dalla madre”. Si tratta di una bimba “politicamente corretta”, scrive la Stampa, perché “non c’è stata quell’indagine sull’embrione che fa accapponare la pelle al mondo cattolico”. Certo, si può ben comprendere la felicità e il sollievo dei genitori. Tutto bene allora? Non direi. Infatti, se proviamo a guardare la cosa con un occhio meno limitato ai desideri umani, vediamo che si tratta anche in questo caso di una selezione che rischia di aprire le porte ad una mentalità eugenetica. Anche in questo caso, quindi, il progresso tecno-scientifico ci impone di riflettere sul senso delle conseguenze che comporta, cioè di ciò che troveremo davanti a noi. “La risposta ci porrà di fronte a una decisione – scrive il filosofo Romano Guardini – e io non so ciò che in essa prevarrà: se il fatto in se stesso con la sua inevitabilità e coercizione, oppure l’intelligenza e la nostra capacità di dominare le cose”.
Questo è quanto scrive oggi Lucetta Scaraffia sul Corriere della Sera – che se uno non lo sapesse penserebbe che è frutto di un generatore casuale di parole e frasi dal senso solo apparente. Anzi, di nessun senso nemmeno apparente.
Siccome il principio di autorità (persone o quotidiani che siano) non è un argomento solido il giudizio, però, non può che rimanere di insensatezza. Anzi di stupefacente insensatezza.
Verrebbe da chiederle: “Lucetta cara, ma cosa vai blaterando? Hai dormito male? O ti stai prendendo giuoco di noi?”. Ecco, forse questa è la chiave. Lei scherza, e noi la prendiamo sul serio.
Cerchiamo di venirne a capo: è nata una bambina, è sana, i genitori sono felici, e addirittura i cattolici perché non hanno fatto la diagnosi genetica di preimpianto. Cosa diavolo ci sarebbe che non va?
Lucetta si limita a negare che sia tutto a posto, senza portare alcun argomento e considerandoci più intelligenti di quanto non siamo. Perché non si capisce la ragione per cui non va bene. Quale sarebbe “un occhio meno limitato ai desideri umani”? E poi se “rischia di aprire le porte” significa forse che per ora sono ancora chiuse? Non solo non ci dice il perché, ma sembra che soltanto il rischio di aprire alla eugenetica sia sufficiente per condannare e magari per vietare per legge.
Inutile ribadire per l’ennesima volta che dietro alla parola “eugenetica” ci sono una serie di imprecisioni – e stupisce, da parte di una storica, tanta superficialità. Che giochi appositamente su tale terreno insidioso?
Ma vediamo di chiarire almeno qualche pensiero sull’eugenetica, usata come una clava contro le tecniche di procreazione assistita o il “progresso tecno-scientifico” in generale.
Il richiamo è sbagliato storicamente e scorretto concettualmente, perché il sottinteso è che “eugenetica” sia quella politica razziale nazista che eliminava quanti non corrispondevano ad un certo standard. Ma quella eugenetica non ha nulla a che fare con le possibilità che la scienza oggi offre – e che potremmo chiamare manipolazione genetica migliorativa per liberarci del peso dei ricordi.
L’eugenetica della politica nazista di miglioramento della razza, e di quel movimento eugenetico che si sviluppa alla fine dell’ottocento e si diffonde in Paesi insospettabili come Inghilterra e Stati Uniti, è giustamente condannata. Seppure in contesti molto dissimili, lo scopo comune dell’ideologia eugenetica consisteva nel “migliorare” la razza, attraverso l’eliminazione di tutti gli elementi difettosi: mascalzoni, prostitute, criminali, ma anche insufficienti mentali, pazzi, poveri o appartenenti a presunte razze inferiori dovevano essere eliminati, o almeno dovevano essere cancellati dai processi riproduttivi al fine di estirpare i loro geni difettosi. Il fantasma dell’eugenetica nazista è ben conosciuto; forse è meno noto quello che accadde negli Stati Uniti all’inizio del novecento. Tra il 1907 e il 1940 la caccia agli indegni (“the hunt of unfit”) causa la sterilizzazione forzata o la castrazione di migliaia di esseri umani: la maggior parte di essi erano deboli di mente, malviventi oppure considerati moralmente degenerati; 700 furono classificati come “altro”.
La differenza fra questa eugenetica e l’eugenetica attuale, però, è profonda, e l’assoluta condanna della prima non può essere trasferita, totalmente o parzialmente, sulla seconda.
Confonderle, giocare con le ambiguità è disonesto; e pericoloso.
Nel caso di questa bambina, perdipiù, non si può nemmeno tirare in ballo la questione degli embrioni sacri e inviolabili: e allora?
Il filosofo citato a conclusione spero sarà clemente con chi filosofo non è, ma non si capisce bene manco lui. Forse è una rimodernizzazione del “non so” socratico, dimenticando un pezzo, anzi due: la consapevolezza del non sapere e l’ironia.

AgoraVox Italia, 11 novembre 2008

domenica 9 novembre 2008

sabato 8 novembre 2008

Alleanza

al|le|àn|za
s.f.
1 patto che impegna due o più stati alla reciproca assistenza in caso di guerra o in pace, per fini militari o politici: stringere, stipulare, contrarre un’a.; rompere un’a.; l’a. tra l’Austria e la Germania; a. atlantica
2 estens., unione, coalizione fra più persone, gruppi o partiti, per il raggiungimento di scopi comuni: a. parlamentare | estens., accordo, patto d’amicizia
Non riesco proprio a rassegnarmici. Ogni volta che trovo scritta o mi capita di ascoltare l’espressione «alleanza terapeutica» usata per negare la possibilità che un paziente possa vedere rispettate dal medico le proprie volontà, mi sento quasi male per la rabbia. L’ultimo esempio è su Avvenire di stamattina (ma nel frattempo chissà quante altre volte sarà già stata ripetuta), in un articolo che ci informa su un convegno della solita cricca di integralisti (Roccella, Casini, Binetti, Mantovano etc.; cfr. Pier Luigi Fornari, «Legge sul fine vita. “Tre i punti fermi”», 8 novembre 2008, p. 13):
C’è convergenza anche sul fatto che le volontà del paziente devono essere espresse all’interno dell’alleanza terapeutica e non sono vincolanti. E dunque […] l’ultima parola spetta al medico.
La mia volontà deve capitolare, è quella del medico che prevale; un altro può controllare il mio corpo, scegliere al posto mio, imponendomi i suoi valori, i suoi desideri, le sue idee; e questa viene chiamata alleanza.
Qui siamo al di là persino del newspeak orwelliano; forse Edward Lear sarebbe un paragone più azzeccato. Nonsenso, non-pensiero. Qualcuno avrà orecchiato quelle parole, avrà trovato gradevole il loro suono, le avrà usate a sproposito; e gli altri – le roccelle, i casini, le binetti, tutto il circo integralista – dietro, a ripetere con fracasso, a moltiplicare per centomila l’assurdo. Ogni tanto qualcuno (non la Roccella, certo, ma gli altri forse sì) avvertirà come uno stridore, una vaga incongruenza; e subito ricaccerà indietro il dubbio – l’integralista, si sa, è un animale gregario.

Se proprio si vuol parlare di alleanza, si indichi in questo modo l’alleanza fra i miei valori, i miei fini personali, e i mezzi tecnici, il sapere specialistico del medico. La parola giusta per quello che intendono gli integralisti è un’altra; ma non suonerebbe altrettanto piacevolmente...
sud|di|tàn|za
s.f.
1 condizione di suddito
2 fig., stretta dipendenza, subalternità psicologica

venerdì 7 novembre 2008

I moduli per il testamento biologico

Il testamento biologico non ha valore legale nel nostro paese, ed è improbabile che la legge in preparazione in Parlamento possa migliorare questa situazione. Tuttavia, compilarlo potrebbe non essere inutile: per quanto restrittiva, la futura legge dovrà inevitabilmente lasciare qualche spiraglio, e a un medico sensibile potrebbe dunque essere permesso di tenere conto almeno in parte delle nostre volontà; in caso invece di perdurante assenza di legge, o se questa si rivelasse (come tutto lascia prevedere) di dubbia costituzionalità, un documento scritto semplificherebbe di molto un eventuale iter giudiziario, nell’ipotesi malaugurata che i nostri familiari o amici debbano rivolgersi a un tribunale per ottenere il rispetto delle nostre volontà. Cosa ancor più importante, se molte persone compilassero il proprio testamento biologico e rendessero noto di averlo fatto (per esempio inviandolo a un’associazione che si occupa di queste tematiche, come Exit Italia, Libera Uscita o Fondazione Veronesi), ciò potrebbe convincere il legislatore a emanare una legge più liberale di quella che si annuncia.
In questo spirito, do qui di seguito l’elenco dei moduli prestampati di testamento biologico disponibili in rete, e invito chi può a diffonderlo (ovviamente ogni segnalazione di altri esempi sarà più che benvenuta).

  1. Il modello dell’Associazione Coscioni, presente anche sul sito dell’Aduc;
  2. il modello (biocard) della Consulta di Bioetica;
  3. il modello di Exit-Italia;
  4. il modello della Fondazione Veronesi;
  5. il modello di Libera Uscita (Associazione per la depenalizzazione dell’eutanasia).
Un problema comune alla quasi totalità di questi moduli è che non sono predisposti in modo da consentire scelte articolate: tendono infatti a schiacciare su un’unica eventualità quelle che invece sono alternative multiple (per esempio, è del tutto possibile che uno voglia evitare di essere tenuto in vita in stato vegetativo permanente, ma che non sia contrario a vivere col sostegno di macchine). L’unica eccezione mi sembra costituita dal modulo della Consulta di Bioetica, che appare anche il più chiaro, e che dunque mi sentirei di consigliare. Il peggiore, spiace dirlo, mi sembra quello della Fondazione Veronesi, che è troppo succinto per poter registrare una volontà che sia appena appena articolata. Questo non toglie, ovviamente, che altre esigenze possano comportare preferenze diverse dalle mie.

Aggiornamento 28 febbraio 2009: si aggiunge adesso il modello dell’Associazione Liberi di decidere, molto sintetico (contempla solo i casi di morte cerebrale e di stato vegetativo permanente) e disponibile in due versioni: una da autocompilare e una da compilare davanti a un notaio.