lunedì 13 dicembre 2010

Incesto asimmetrico

Ci sono argomenti di cui è quasi impossibile discutere senza essere travolti dal peso emotivo: uno di questi è senza dubbio l’incesto.
Un caso recente ci offre la possibilità di fare qualche riflessione, soprattutto sulle ragioni e sulle modalità della condanna morale e legale.
Molto dipende anche dalla relazione in cui l’incesto avviene: tra genitore e figlio, tra fratelli o tra gradi di parentela più laschi.
Probabilmente il primo caso è quello più esplosivo.
Pochi giorni fa David Epstein, professore alla Columbia, è stato accusato di avere da tre anni una relazione consensuale con la figlia ventiquattrenne.
Alexa Tsoulis-Reay pone una domanda cruciale: Is Incest a Two-Way Street? David Epstein is charged with having sex with his adult daughter. Isn’t she guilty, too? (december 10, 2010, Slate).
Pur essendo consenziente e maggiorenne, la ragazza non è oggetto di indagine.
Perché?
Perché è considerata a priori e necessariamente come una vittima - in quanto figlia e in quanto più giovane del proprio carnefice. Ci convince questa visione? Quanto è verosimile sostenere che a 21 anni si sia tanto soggiogati da non poter scegliere liberamente? La domanda in generale ha senso? Non andrebbe accertato ogni caso specifico sul piano del condizionamento e del potere esercitato dal presunto carnefice? Cambieremmo idea nel caso in cui l’età del genitore - cioè il carnefice - sia così alta da far sospettare che la vittima sia proprio il genitore e non il figlio ormai adulto?

Se comunque in questo caso, e in casi analoghi, riusciamo a sospendere queste domande e a considerare la motivazione asimmetrica razionale e condivisibile, in altri l’asimmetria ci appare in tutta la sua contraddizione e pericolosità. Come nel caso, citato alla fine del pezzo, di due fratelli coetanei. Lui 16 anni, lei 15. Lui viene condannato, lei no.
Come racconta Tony Washington dopo 7 anni dall’accaduto (Unforgiven, august 31, 2010, ESPN).

“Incest,” he says, looking straight ahead.
He says he didn’t plan to do it. He was a teenager. Unstrung. Unsupervised. His world was at war. He was scared. Isolated. Except she was there, the two of them best friends, close as book pages. They loved each other, trusted each other. And one day that tipped into something more. Something neither one felt was wrong in the moment. “We were just sitting there, and it was like, ‘Do you want to?’” he says. There was no discussion. “We did it. And it was like, ‘OK, what’s next?’ We never talked about it after that.”
Doveroso leggere l’intera storia, le modalità e le conseguenze della condanna.
Non può non tornare alla mente il caso dei fratelli tedeschi.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Interessante argomento.
Per una riflessione razionale, credo si debba individuare quale sia il danno che deriva da una relazione incestuosa.
Se nell'ambito della relazione non c'è prevaricazione fisica né plagio, ma libera adesione di entrambi le parti, penso possano derivarne due possibili danni (altri non risco ad individuarne):
1) di natura pratica, ma probabilistica: se viene concepito un figlio, la probabilità che si presentino malattie genetiche è molto più elevata che tra non consanguinei
2) di natura sociale, nel senso che le parti sarebbero quasi inevitabilmente oggetto di stigmatizzazione, condanna, ripulsa sociale

Nessuno dei due motivi credo possa motivare un'inibizione al comportamento incestuoso da parte della legge; per il primo punto basta infatti notare che nessuna persona portatrice di malattie genetiche anche gravi (anche autosomiche dominanti) oggi come oggi può essere "sterilizzata per legge", oltre al fatto che non necessariamente una relazione amorosa porta alla riproduzione; quanto al secondo, la riprovazione degli "altri" non può né deve essere in una civiltà giuridica e liberale motivo di sanzionamento (altrimenti anche l'omosessualità diverrebbe illegale, essendo purtroppo oggettivamente fonte di stigmatizzazione e discriminazione fattuale anche oggi, anche in Italia).

Essendo quindi un comportamento che non porta danno alle parti liberamente consenzienti, in base a quali motivazioni razionali può essere sanzionato dalla legge? In base a quale paradigma poi solo la parte "maschio" o solo la parte "più anziano" debba ritenersi colpevole, mi sembra ancora più irrazionale.
Caso per caso dovrebbe essere valutato se esiste forzatura o plagio (e il plagio è diverso dalla seduzione).
(E comunque, anche la valutazione di quando indagare, mi sembra delicata: con che diritto lo stato si mette a indagare sulla vita privata di due adulti compos?)
Se la relazione viene intrapresa in maniera consapevole e libera, allora a mio avviso la legge non dovrebbe avere alcun motivo di intervento, tanto più per un motivo IDIOTA come lo "scandalo pubblico".
Ovviamente, molti ritengono tutt'ora che il pubblico scandalo sia invece un male sociale. Purtroppo, non ho abbastanza fantasia per capire perché razionalmente sia possibile punire penalmente l'opportunità o disopportunità sociale o morale di un comportamento; personalmente mi sembra un atteggiamento consono ad una teocrazia e non ad uno stato liberale.
Silvia

paolo de gregorio ha detto...

Argomento ostico che tendo a cercare di evitare per imbarazzo, che come nei casi citati porta a situazioni paradossali. Il caso accennato -dei due fratelli di sedici e quindici anni- è emblematico: leggendo la storia è pressoché fuor di dubbio che l'episodio sarebbe rimasti privo di conseguenze per i due ragazzi coinvolti, per il resto delle loro vite, praticamente da tutti i punti di vista (psicologico e pratico), se non fossero intervenuti legge e scandalo. In generale mi verrebbe da dire che tra fratelli coetanei -o quasi coetanei- questo tipo di condotte, se estranee a qualunque tipo di violenza fisica o di altro tipo, dovrebbero semplicemente non essere oggetto di giudizio.

Per quel che riguarda padre e figlia la situazione è più articolata (ma è assurdo quando si legge di un paragone immediato con situazioni incestuose e pedofile anche se si tratta di due adulti): posso immaginare una situazione analoga a quella del caso riportato, nella quale però i comportamenti sessuali fossero stati una continuazione di azioni precedentemente intraprese in corrispondenza di una giovane età della figlia. In quel caso, pur essendoci stato consenso di una persona adulta (la figlia), potremmo immaginare che questo possa riflettere un condizionamento, nonostante l'età, e quindi potenzialmente sanzionabile.

Nel caso in questione non parrebbero esserci questi elementi e di primo acchito mi verrebbe da dire che -quale sia il giudizio personale o morale sulla faccenda- qui non ci sarebbe reato.

Dal punto di vista della moglie e madre, però, non mi stupirei che si configurasse una situazione di scompenso. Non mi parrebbe totalmente illegittimo che una sua tutela venisse presa in considerazione, ma nel pratico non ho idea di come lo si farebbe.

Suggerirei comunque che queste situazioni incestuose forse potrebbero essere controllate, se in compresenza di una situazione di esercizio di tutela da parte del genitore (che a volte non cessa con il raggiungimento della maggiore età): si dovrebbero scindere le due cose, tanto per star sicuri.

Tutto quanto detto però non penso che si possa sommare nella configurazione di reato tout court da parte del padre. Casomai, caso per caso sarebbero da valutare sia le condizioni in cui avviene l'incesto (come suggerito nel post) che le eventuali ripercussioni su altre relazioni sociali o familiari (ma non con valutazioni quindi di tipo penale, casomai dispositivo).

Chiara Lalli ha detto...

Sicuramente l'argomento poco si presta al dibattito pubblico.
Forse raccontando - bene - un caso come quello di Tony Washington si può aprire una strada, si può cominciare a tracciare differenze senza le quali è follia discuterne, si può scalfire l'automatismo "rapporto tra consangunei" = "orrore e abuso".

Barbara ha detto...

Il mio prof di sociologia generale dell'università ci aveva presentato una teoria dell'incesto (non so quanto riconosciuta / condivisa) secondo la quale lo scandalo sociale che provoca sarebbe legato alle ridotte capacità di quella famiglia di formare legami rilevanti con altre famiglie. In altre parole, essendo (in una società ideal-tipica tradizionale) i figli (in particolare le figlie) una sorta di merce di scambio utile a formare legami con altre famiglie, l'incesto verrebbe visto come una sorta di isolamento volontario da parte di quella famiglia e in quanto tale condannato.

Il prof diceva anche che l'incesto è "naturale" (credo intendesse dire probabile), soprattutto in situazioni in cui sussistono legami familiari forti e gli istinti non sono liberi di esprimersi al di fuori della famiglia; e questo renderebbe necessaria una repressione che sia esplicita / efficace.

Stando a questa teoria, oggi lo scandalo sociale legato all'incesto non avrebbe quindi motivo di esistere perché non ci sono più le condizioni di cui sopra: i legami sociali non si costruiscono più tra famiglie / clan e attraverso i matrimoni, ma tra individui e tra gruppi costituiti in maniera diversa e multiforme, attraverso una moltitudine di strumenti di cui i matrimoni sono solo una parte.

Inoltre, se ancora potesse essere considerato per qualche motivo un comportamento scandaloso, oggi viene anche meno il bisogno di reprimerlo in maniera efficace visto che in virtù dei cambiamenti di cui sopra, i figli (le figlie) hanno ampie possibilità di espressione degli istinti al di fuori della famiglia e la probabilità che accada appare fortemente ridotta.

paolo de gregorio ha detto...

Mi sono un po' perso.

«Il prof diceva anche che l'incesto è "naturale" (credo intendesse dire probabile), soprattutto in situazioni in cui sussistono legami familiari forti e gli istinti non sono liberi di esprimersi al di fuori della famiglia; e questo renderebbe necessaria una repressione che sia esplicita / efficace».

Siccome una cosa è "naturale" allora è ovvio che venga repressa? Non ci arrivo.

Mi viene in mente il passo di Lot nella Bibbia, che viene violentato dalle figlie che vogliono assicurargli discendenza, visto che la mamma s'era fatta pietra.

Io credo che più semplicemente l'avversione alle forme incestuose possa trarre origine dal fenomeno naturalissimo che i nostri progenitori avranno osservato che riguardava il rischio di disabilità per i figli. Quindi una società per preservarsi lo condannava o osteggiava. Altrettanto, in piccole comunità in cui l'alternativa (in quel momento) scarseggiava, sarà risultato tollerabile. Tutte queste motivazioni sono attenuate nelle società moderne, ma la stigma rimane per motivi culturali (fermo restando che parliamo di consanguinei adulti).

Barbara ha detto...

Il motivo biologico non mi convince molto come deterrente storico. La probabilità di avere figli disabili non è altissima. Anche se fosse il 50%, non sarebbe troppo diversa dal tasso di mortalità infantile prevalente nelle società tradizionali. Se si fanno figli sapendo che uno su due (o su tre) morirà, perché pensare alla probabilità che uno su due (o su tre) nasca disabile?

Il rischio di cattiva salute della prole esiste anche tra i cugini (seppure un po' più basso) e non ha impedito alle famiglie reali d'Europa di sposarsi tra loro per molti secoli.

L'altra questione che pone De Gregorio è legata al fatto che per essere repressa (dalla legge, dalla comunità) una cosa non deve essere solo sbagliata, ma deve anche accadere. E - a parità di gravità - più frequentemente accade e più è urgente che venga repressa. Pensa all'aggravante per le aggressioni omofobe, che è stata introdotta quando sono cominciate / aumentate le aggressioni omofobe.

Chiaramente l'omicidio è più grave di un furtarello in un supermercato, ma pensa cosa succederebbe se non fossero puniti i piccoli furti. In altre parole, nello stabilire cosa sanzionare (e come) si tiene in considerazione non solo la gravità del fatto ma anche la sua probabilità o frequenza, e a parità di gravità i fatti più frequenti / probabili hanno la precedenza.
Quindi mi sembra normale che l'incesto - se considerato dannoso e quindi da punire - sia sanzionato con maggior forza nei periodi storici / nei contesti sociali in cui rischia di essere più probabile / frequente.

paolo de gregorio ha detto...

Barbara:

"Anche se fosse il 50%, non sarebbe troppo diversa dal tasso di mortalità infantile prevalente nelle società tradizionali."

Temo che non lo si possa liquidare così un ipotetico 50%. Per ottenere la stessa efficienza nella discendenza si sarebbero dovuti fare il doppio dei figli, o attendere il doppio per ottenere le stesse forze fresche o dimezzare la disponibilità di risorse vitali. Per la selezione naturale il 50% sarebbe un numero enorme, a parità di tutte le altre condizioni, e la proposizione che un tal numero sarebbe irrilevante -visto che esisteva la mortalità precoce- mi pare che smentirebbe tonnellate di studi scientifici degli ultimi 150 anni. Dico questo se il 50% è a guadagno zero. Se ci sono dei vantaggi la cosa ovviamente cambia (come dicevo, nelle società sottodimensionate è meglio essere incestuosi che estinguersi).

Vanno aggiunte due considerazioni: che le disabilità, in società così fisicamente demanding come quelle primitive, erano verosimilmente un problema maggiore nel caso di sopravvivenza (e quindi non le si possono coontrapporre alla mortalità). L'altra è che non è escluso che nelle tante culture superstiziose del nostro passato prossimo e remoto, la disabilità di un figlio nato dall'incesto poteva benissimo essere intesa come una punizione degli dei, e quindi interpretata come qualcosa di profondamente sbagliato (portatore di "sventura").

"Il rischio di cattiva salute della prole esiste anche tra i cugini (seppure un po' più basso) e non ha impedito alle famiglie reali d'Europa di sposarsi tra loro per molti secoli."

Certamente: il costo era più basso ma il guadagno -la conservazione della ricchezza e del potere- compensava abbondantemente. Non credo di aver detto qualcosa di diverso. È l'esempio che facevo di Lot: persino la Bibbia è disposta a contemplare l'incesto, persino con violenza, se in gioco è la discendenza di chi deve regnare sul popolo eletto. Ma in una popolazione che ha la possibilità di mischiarsi, se povera e numerosa, sfruttare le leggi della genetica è quantomai redditizio. Se non fosse così non esisterebbe la riproduzione sessuale.

Anonimo ha detto...

Nel mondo animale, ove ovviamente non esistono i tabù, sono comunque state elaborate strategie di vario tipo onde provvedere alla limitazione di inbreeding (riproduzione tra consanguinei).
A seconda della specie, i maschi fertili si allontanano dal gruppo natale (p.es. leoni), oppure tutti i cuccioli si allontanano dai territori presidiati dai genitori(p.es. tigre). Le piante affidano i loro geni al vento o agli insetti, differenziando (nel caso di piante ermafrodite) le tempistiche di maturazione dei gameti maschili e di quelli femminili.
Sono strategie altamente complesse perché il beneficio dell'outbreeding è notevole. Di fatto, l'inbreeding riduce o annulla le potenzialità della riproduzione sessuata. Dall'inbreeding deriva infatti un complesso di fattori negativi per l'animale: emersione di malattie genetiche recessive (p.es. anemia mediterranea), riduzione delle dimensioni corporee (vedi svariate specie nane isolane), e soprattutto depressione delle difese immunitarie con conseguente aumento della mortalità per malattie infettive e tumori precoci. Inbreeding inoltre significa minore variazione nella popolazione e conseguenti minor fitting (nel senso classico di adattabilità ambientale).
Bisogna però sottolineare che dall'inbreeding può anche sorgere il materiale per nuove speciazioni, portando all'emersione di caratteristiche positive per il fitting ma legate a caratteristiche genetiche recessive.

A livello puramente biologico ha moltissimo senso che si stabiliscano e mantengano tabù per evitare l'inbreeding.

Resta però il fatto che per gli esseri umani la sessualità non è più da molte centinaia di migliaia di anni pura espressione della necessità di figliare (non lo è neppure per i bonobo...), quindi stigmatizzare tout court l'incesto per ragioni "razionali" diventa in primis equivalente a stgmatizzare la possibilità di fare sesso per motivi diversi dalla riproduzione.

Come scrivevo in precedenza, fosse anche la riproduzione il fine primario della formazione di una coppia, per me resta molto dubbia la liceità per uno stato di impedire ad una coppia di avere figli potenzialmente malati.
Infatti, pur essendo a favore dell'eugenetica, a mio avviso in uno stato liberale deve essere caratterizzata dalla sensibilizzazione degli individui che devono essere posti nelle condizioni di decidere liberamente, senza costrizioni né indebiti "incoraggiamenti" da parte dello stato o della collettività, altrimenti si passa all'eugenetica alla Mengele

Silvia