sabato 2 marzo 2013

Università. Distruggere le aule


Cosa e come insegnare? Prima i filosofi e poi i pedagogisti hanno tentato di rispondere esaustivamente, con tutte le loro possibili declinazioni: si insegna in modo diverso a seconda delle età? È importante il luogo? Ci sono discipline migliori di altre? Socrate, Platone, Kant, Rousseau sono tra quelli che si sono cimentati teoricamente e a volte praticamente nell’insegnamento. Ad alcuni di loro sono legati ricordi indelebili: la maieutica socratica, per esempio, o l’Émile ou de l’éducation di Rousseau (1762). Tra i nomi della pedagogia moderna potremmo citare Durkheim, Emerson, Montessori, Dewey. Per quanto ci riguarda, siamo perlopiù abituati a collegare l’insegnamento alle ore e ore di prigionia scolastica in un contesto abbastanza astratto e avulso dal resto - nonché collocato nella prima parte della giornata secondo i precetti vittoriani. Ovviamente non è detto che questo sia il metodo migliore, è solo quello che ci è familiare.
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Colin Ward, scrittore e anarchico britannico morto 3 anni fa, proponeva proprio l’eliminazione della scuola come la intendiamo: aule, orari fissi, muri. Nel 1987 in una conferenza al Massachussets Institute Of Technology (MIT) disse: “Nel diciannovesimo secolo Lev Tolstoj aveva deciso di fondare una scuola nel proprio villaggio e per questo visitò istituti in Germania, in Francia e in Inghilterra, arrivando a questa conclusione: ‘L’educazione è un tentativo di controllare ciò che è spontaneo nella cultura: è cultura sotto costrizione.’ A Marsiglia era stato in ogni scuola e aveva parlato con gli allievi e i genitori. Trovò spaventosi gli edifici scolastici: simili a prigioni, dove i bambini apprendevano meccanicamente solo quello che c’era scritto nei loro libri, senza essere capaci di aggiungere niente di più.” Ward conclude che se Tolstoj si fosse limitato a osservare questi reclusi avrebbe descritto la popolazione francese come rozza, ipocrita e ignorante. Ma poiché la strada e la storia dimostravano il contrario, dedusse che “la vera educazione veniva dall’ambiente”.
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Da qualche tempo le domande pedagogiche possono essere riformulate in un campo giovane, quello dell’insegnamento online. Non è forse questo il modo in cui Ward immaginava di distruggere le aule e il muro dei Pink Floyd non è certo solo quello fatto di mattoni, ma potremmo vederla in parte anche così. Questo tipo di insegnamento mantiene alcuni degli interrogativi classici e ne aggiunge di nuovi, soprattutto rispetto alla metodologia e all’efficacia didattica. Per saperne di più mi sono iscritta a Coursera, iniziativa nata da una partnership tra molte università prestigiose - tra cui le statunitensi Columbia, Stanford, Princeton, Duke e John Hopkins - con l’intento di offrire corsi di alta qualità gratuitamente e online. Basta registrarsi su Coursera.org e poi scegliere cosa frequentare. Le categorie sono venti e si va dalla biologia alla medicina, dalla matematica alle arti e alle scienze sociali. In pratica, funziona così: ogni settimana una mail ti avvisa della messa online delle lezioni, disponibili da quel momento in avanti. Se sei un disastro totale nel gestire il tuo tempo potrebbe essere faticoso o impossibile evitare di accumularle tutte entro la scadenza prevista per l’esame. Dal tuo computer segui le lezioni - se non hai capito bene qualcosa perché il tuo inglese è mediocre c’è anche una sezione con i testi - e poi fai degli esercizi. Si tratta di test a risposta chiusa multipla che puoi ripetere finché vuoi, finché non le azzecchi tutte o il numero di quelle esatte ti sembra soddisfacente. La valutazione finale è affidata invece a dei quiz con trenta domande e un solo tentativo a disposizione.

Il Mucchio Selvaggio di marzo 2013.

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