domenica 9 marzo 2014

L’obiezione di coscienza non può impedire la corretta applicazione della legge 194

Oggi, a seguito di un reclamo collettivo dell’associazione non governativa International Planned Parenthood Federation European Network (IPPF E N che dagli anni 50 si batte in 172 paesi per potenziare l’accesso ai programmi di salute delle fasce più vulnerabili) assistita dall’Avv. Prof. Marilisa D’Amico, Ordinario di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano, e dall’Avv. Benedetta Liberali, il Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d'Europa ha ufficialmente riconosciuto che l'Italia viola i diritti delle donne che - alle condizioni prescritte dalla legge 194/1978 - intendono interrompere la gravidanza, a causa dell'elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza. Il ricorso è stato presentato contro l’Italia al fine di accertare lo stato di disapplicazione della legge 194/1978 e il Comitato Europeo ha accolto tutti i profili di violazione prospettati. La legge 194/1978 prevede che, indipendentemente dalla dichiarazione di obiezione di coscienza dei medici, ogni singolo ospedale debba poter garantire sempre il diritto all’interruzione di gravidanza delle donne. Oggi purtroppo, a causa dell’elevato numero, sempre crescente come dimostrano i dati forniti da IPPF EN nell’ambito del giudizio davanti al Comitato Europeo (documentazione reperibile in www.coe.int/socialcharter), di medici obiettori, alcune strutture si trovano a non avere all’interno del proprio organico medici che possono garantire l’effettiva e corretta applicazione della legge. Questo riconoscimento di violazione può essere riconosciuto come una vittoria per le donne, e per l’Italia, e mira a garantire la piena applicazione di una legge dello Stato, la 194, che la Corte costituzionale ha definito irrinunciabile. “La vittoria di oggi è un successo importante perché l’obiezione di coscienza non è un problema solo in Italia ma in molti altri paesi europei. IPPF, che da più di 60 anni lotta nel mondo per garantire a tutte le donne i loro diritti e l’accesso alla salute sessuale e riproduttiva, vuol fare emergere la mancanza di misure adeguate da parte dello Stato italiano a garantire il diritto fondamentale alla salute e all’autodeterminazione delle donne. Siamo molto felici che il Comitato Europeo abbia stabilito che l’Italia debba risolvere una volta per tutte questo problema” - così dichiara Vicky Claeys, Regional Director di IPPF EN.
Qui i dettagli e qui il testo completo del reclamo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Che dire? ben fatto, bravi.

Per quanto riguarda gli integralisti che ora cominceranno a strepitare contro i cattivi burocrati europei: state tranquilli, le donnacce che oseranno approfittare di questo diabolico attacco alla Sacralità Della Vita verranno adeguatamente punite finendo all'inferno per l'eternità (e scusate se è poco, eh).