sabato 30 agosto 2014

Il Tribunale di Roma: sì all’adozione (gay), nell’interesse del minore

Anche se non sei genitore biologico, puoi essere genitore. È successo e succede in molte circostanze. Il mero legame genetico, d’altra parte, non è una condizione sufficiente per essere tale. Dovrebbe essere abbastanza ovvio e scontato, ma invece solleva ancora molte discussioni, soprattutto quando riguarda due donne o due uomini.
Nel caso di coppie dello stesso sesso, infatti, solo uno dei due può essere geneticamente affine al figlio. Il riconoscimento giuridico per l’altro genitore non c’è, e il padre o la madre non biologici rischiano di essere più o meno equivalenti a un estraneo. In assenza di garanzie (prima di tutto per i minori), le persone che si trovano in queste condizioni cercano di rimediare: scritture private, certificazioni, assicurazioni. Tutti provvedimenti imperfetti e incerti.
Alcuni anni fa, in seguito a una separazione, la madre non biologica è stata esclusa completamente dalla vita dei suoi figli – non suoi geneticamente, ma che per i primi anni della loro vita erano cresciuti con quella figura genitoriale, l’avevano chiamata «mamma» e considerata come tale.


Dal Tribunale dei Minorenni di Roma arriva una sentenza importante: i giudici hanno accettato la richiesta di adottare da parte di una madre “solo” sociale. Hanno riconosciuto pienamente alla donna il suo ruolo: diritti e doveri.
E la motivazione è semplice e incontrovertibile: è nell’interesse del minore, cresciuto in una famiglia con due madri e abituato a considerare loro due come genitori.
La ricorrente aveva chiesto l’adozione della minore in base all’art. 44, comma 1, della della legge n. 184 del 1983 e successive modifiche, che regola l’adozione in casi particolari.


La richiesta è stata accolta “nel superiore e preminente interesse del minore a mantenere anche formalmente con l’adulto, in questo caso genitore ‘sociale’, quel rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo, a maggior ragione se nell’ambito di un nucleo familiare e indipendentemente dall’orientamento sessuale dei genitori” – così commenta Maria Antonia Pili, legale delle donne, che ieri ha reso nota la sentenza (depositata il 30 luglio).
Come sono arrivati i giudici a questa decisione? Che cos’è l’adozione in “casi particolari”?
“Si tratta di un tipo di adozione […] che mira a realizzare l’interesse del minore ad una famiglia in quattro specifiche ipotesi, in cui [il] legislatore ha voluto facilitare il procedimento di adozione, per un verso ampliando il novero dei soggetti legittimati a diventare genitori adottivi e, per altro verso, semplificando la procedura di adozione”.

La 27esimaOra, 30 agosto 2014.

mercoledì 27 agosto 2014

Una suora e un aborto clandestino, la serie tv che fa arrabbiare i pro-life Usa


The Knick è una serie tv diretta da Steven Soderbergh. Clive Owen è John Thackery, chirurgo all’inizio del ventesimo secolo. The Knick sta per Knickerbocker Hospital (The Real “Knick”, How Accurate Is The Knick’s Take on Medical History?). La prima puntata è andata in onda lo scorso 8 agosto. La seconda, “Mr. Paris Shoes”, ha già fatto arrabbiare i pro-life americani. Avrebbe sicuramente fatto scandalizzare anche i nostri.

Sister Harriet dirige l’orfanatrofio di The Knick e ha un carattere ben poco remissivo. All’energumeno che guida l’ambulanza e che la provoca più o meno ogni volta che la vede, Harriet aveva risposto nella prima puntata: “Il tuo brutto muso è responsabile della verginità di molte più ragazze di una cintura di castità”.

Alla fine della seconda la vediamo camminare lungo vicoli bui e poi bussare a una porta. Harriet è qui per Nora. Nora è incinta ma non può permettersi di avere un altro figlio. Dal dialogo capiamo che il marito di Nora non sa e non deve sapere, e che sarà Harriet a interrompere la gravidanza.

Non solo. Harriet consola e rassicura Nora, preoccupata di compiere un peccato per il quale Dio non la perdonerà, andando così all’inferno per aver ucciso un bambino. Dio sa che hai sofferto le dice Harriet, Dio sarà compassionevole. (Nora: “But will God forgive me? I don’t want to go to hell for killing a baby”. Harriet: “He knows that you’ve suffered. I believe the Lord’s compassion will be yours. Now, I need you to lay down. I will make this as painless as possible”).

I pro-life si sono arrabbiati. “Uno show sacrilego!”. “Una suora che esegue un aborto!”.

Pagina 99, 26 agosto 2014.

giovedì 21 agosto 2014

«“Ogni feto è meno umano di un maiale adulto”. Così lo scienziato insulta la vita»


È bastata la domanda di una donna incinta di un bambino con sindrome di Down per scatenare in Richard Dawkins, famoso come biologo e per le sue battaglie contro la religione cattolica, una brutale disinvoltura dialettica sul tema dell’aborto. La donna su Twitter ha confidato allo scienziato inglese di vivere un “dilemma etico” da quando ha scoperto che il piccolo che porta in grembo è affetto da trisomia 21. Senza che richiedesse esplicitamente al biologo un consiglio sul da farsi, la potenziale madre si è vista rivolgere da Dawkins una sua massima, piuttosto perentoria e priva di ogni cautela, in merito alla questione: “Proceda all’aborto e riprovi di nuovo. Sarebbe immorale portarlo al mondo se si ha la possibilità di non farlo”.
E poco più giù.
Parole dure, che sferzano come una sciabola l’intima esperienza di una donna pronta a generare vita.
Peccato che la donna non avesse confidato di essere incinta, di aver fatto una diagnosi prenatale, di aver scoperto che il feto fosse affetto dalla sindrome di Down e di vivere un “dilemma etico”. Aveva fatto una domanda, anzi aveva commentato un articolo linkato da Richard Dawkins sulla chiesa, l’Irlanda e l’aborto e immediato controcommento: «I honestly don’t know what I would do if I were pregnant with a kid with Down Syndrome. Real ethical dilemma».


Cioè: non so cosa farei se. «Real» deve aver confuso Federico Cenci.
Nemmeno nessuna «intima esperienza di una donna pronta a generare vita» dunque. Lo ribadisce anche oggi.
A Cenci sarebbe bastato andare a leggere prima di scrivere (il suo articolo è di oggi), e magari - già che ci stava - approfittare e leggere anche la bio («Writer, artist, atheist, nerd, exercise fanatic. Yes, I’m a woman. Huge admirer of Richard Dawkins and Dr. Jack Kevorkian (1928-2011)»).

Certo, la difesa della vita è più importante della comprensione del testo e del contesto. Forse è anche più importante della comprensione delle parole, inglesi e italiane. Infatti nemmeno il significato di «vita» deve essere molto chiaro, considerando il titolo (didascalia: anche il maiale adulto è vivo, non si abortisce nessun bambino).
Il commento di InYourFaceNewYorker sulla vicenda potrebbe valere anche su questa pietosa prova di Zenit.


Aggiornamento

Chiedo a Federico Cenci se la donna sia proprio InYourFaceNewYorker (magari ne esiste un’altra che è davvero incinta, ma no, pare sia lei).
Ringrazia per la «precisazione» e apporta la «piccola modifica» (le parole giuste sarebbero state: «Ho completamente travisato, non so l’inglese, dovevo uscire e avevo fretta» o qualcosa di simile; aggiungerei che non è così che si corregge un pezzo - cancellando e riscrivendo, ma lasciando quello originario e mettendo un asterisco o una parentesi «ho sbagliato qui e qui, le cose stanno in questo altro modo»).


Il pezzo rimane comunque pieno di imprecisioni (sarebbe bastato usare google translate). «La persona, una donna, su Twitter ha confidato allo scienziato inglese che vivrebbe un “dilemma etico”», oppure «Poco prima dell’intervento della donna sulla questione relativa alla gravidanza di un piccolo con sindrome di Down». Poco prima dell’intervento?!

 



Nel frattempo stamattina Tempi riprende il pezzo di Cenci nella prima versione: «È bastata la domanda di una donna incinta di un bambino con sindrome di Down per scatenare in Richard Dawkins».

 

martedì 19 agosto 2014

I’m a cop. If you don’t want to get hurt, don’t challenge me


A teenager is fatally shot by a police officer; the police are accused of being bloodthirsty, trigger-happy murderers; riots erupt. This, we are led to believe, is the way of things in America.

It is also a terrible calumny; cops are not murderers. No officer goes out in the field wishing to shoot anyone, armed or unarmed. And while they’re unlikely to defend it quite as loudly during a time of national angst like this one, people who work in law enforcement know they are legally vested with the authority to detain suspects — an authority that must sometimes be enforced. Regardless of what happened with Mike Brown, in the overwhelming majority of cases it is not the cops, but the people they stop, who can prevent detentions from turning into tragedies.

Working the street, I can’t even count how many times I withstood curses, screaming tantrums, aggressive and menacing encroachments on my safety zone, and outright challenges to my authority. In the vast majority of such encounters, I was able to peacefully resolve the situation without using force. Cops deploy their training and their intuition creatively, and I wielded every trick in my arsenal, including verbal judo, humor, warnings and ostentatious displays of the lethal (and nonlethal) hardware resting in my duty belt. One time, for instance, my partner and I faced a belligerent man who had doused his car with gallons of gas and was about to create a firebomb at a busy mall filled with holiday shoppers. The potential for serious harm to the bystanders would have justified deadly force. Instead, I distracted him with a hook about his family and loved ones, and he disengaged without hurting anyone. Every day cops show similar restraint and resolve incidents that could easily end up in serious injuries or worse.

Sometimes, though, no amount of persuasion or warnings work on a belligerent person; that’s when cops have to use force, and the results can be tragic. We are still learning what transpired between Officer Darren Wilson and Brown, but in most cases it’s less ambiguous — and officers are rarely at fault. When they use force, they are defending their, or the public’s, safety.

Even though it might sound harsh and impolitic, here is the bottom line: if you don’t want to get shot, tased, pepper-sprayed, struck with a baton or thrown to the ground, just do what I tell you. Don’t argue with me, don’t call me names, don’t tell me that I can’t stop you, don’t say I’m a racist pig, don’t threaten that you’ll sue me and take away my badge. Don’t scream at me that you pay my salary, and don’t even think of aggressively walking towards me. Most field stops are complete in minutes. How difficult is it to cooperate for that long?

The Washington Post, august 19.

Pregnant Suicidal Woman Denied an Abortion in Ireland


giovedì 14 agosto 2014

#iostoconsofia

Dopo queste, ecco nuove adesioni.












venerdì 8 agosto 2014

«E allora perché non la bulimia?»


O del leggere ciò che si commenta.

mercoledì 6 agosto 2014

Facebook rimuove una foto di Lauren Greenfield: «non rispetta gli standard della comunità!»

Ieri linko sul mio profilo facebook il pezzo sulla proposta di legge sui disturbi alimentari. Tra i commenti posto una foto di Lauren Greenfield con il link a Thin, documentario sui disturbi alimentari e foto.


Posto anche una delle foto #proana.


Dopo qualche ora non riesco più ad accedere e mi accorgo che il mio profilo non esiste più.



Dopo qualche altra ora riesco a reimpostare la password. Accedo. «Abbiamo rimosso questo contenuto in quanto non rispetta gli standard della comunità di Facebook in relazione alle immagini di nudo» (vedi alla voce «nudità» e «rivedi gli standard della comunità»).


Chissà chi è la persona «particolarmente sensibile» che ha segnalato la foto. Chissà da cosa è stata tanto turbata da segnalarla e chiedere di rimuoverla. Certo è un bel guaio non poter segnalare e rimuovere anche la foto dal sito di Lauren Greenfield e, sopratutto, non essere in grado di valutare il contesto.
Facebook si scusa in anticipo per l’eventuale limitazione e per l’inconveniente, ma deve aver ritenuto che la richiesta fosse sensata e che la rimozione fosse giustificabile e giustificata. Troppo scandalosa quella foto di nudo! Bisogna tutelare «le esigenze della nostra eterogenea comunità globale».
Non è la prima volta che una foto (la femen, l’asceta nudo, il calendario benefico, l’allattamento e altre) viene rimossa per ragioni abbastanza ridicole o del tutto sballate. Ah se il mondo potesse essere regolato dagli stessi standard di facebook! Non servirebbe nemmeno la legge sul reato di istigazione ai disturbi alimentari!
Ora è rimasto solo il link. Ancora un po’ troppro scabroso forse. Fossi una persona sensibile segnalerei anche questo.




martedì 5 agosto 2014

Il nuovo reato di istigazione a pratiche alimentari idonee a...

http://www.laurengreenfield.com/?p=Y6QZZ990

Potrebbe sembrare una gag dei Monthy Python in un giorno non particolarmente felice. Invece è una proposta di legge. Si chiama “Introduzione dell’articolo 580-bis del codice penale, concernente il reato di istigazione a pratiche alimentari idonee a provocare l’anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare”.

Pur ammettendo che i disturbi dei comportamenti alimentari siano “risultanti dalla complessa interazione di fattori biologici, genetici, ambientali, sociali, psicologici e psichiatrici”, i firmatari decidono di concentrarsi sui “fenomeni di diffusione e promozione dei disturbi alimentari, individuando un nuovo reato d’istigazione a pratiche che incitino all’anoressia o alla bulimia – come accade ad esempio su internet, grazie soprattutto ai siti web «pro-ana» e «pro-mia»” (il corsivo è il loro). D’altra parte “non è certo compito del Parlamento interrogarsi sulle dinamiche che portano un numero sempre maggiore di persone a soffrire di disturbi del comportamento alimentare”. Sembra che sia invece suo compito delineare nuovi reati in un contesto tanto vago.

Si parte da quanto si dovrebbe dimostrare: che incitare all’anoressia (o a qualsiasi altro disturbo alimentare) causi l’anoressia (o qualsiasi altro disturbo alimentare) e che questo dovrebbe essere considerato un reato.

Pur concedendo – molto generosamente – una connessione causale tra l’istigazione (qualunque cosa significhi) e il disturbo alimentare, pensare che la soluzione sia rendere quello stimolo un reato è abbastanza ingenuo. Significa ignorare come funziona l’internet, i principi liberali, il ruolo del parlamento, la corretta valutazione del rischio, il diritto penale e il principio del danno. Significa anche aver dimenticato l’inutilità del proibizionismo e della coercizione legale in un simile dominio. Pur concedendo – altra ingiustificabile generosità – che il danno sia dimostrato non avremmo ancora dimostrato che sarebbe giusto vietare la causa del danno.
Perché considerare diversamente altre “istigazioni” al danno? Vietiamo le istigazioni alle automobili, ai coltelli, al fuoco, alle aspirine (aggiungere a piacere) perché si muore – questo è sicuro – in incidenti stradali, accoltellati, bruciati e di aspirina. Vietiamo l’acqua ché si muore anche per intossicazione da acqua.

C’è anche un altro problema: molti di questi siti, chat, blog e forum sono verosimilmente un ulteriore “sintomo”. Dopo aver letto “Ecco il diario alimentare di oggi. Pranzo: piccolo panino con cotto e fontina (circa 250 kcal). Cena: zuppa (circa 35 kcal). Avrei preferito mangiare qualcosa di meno calorico del panino, ma ahimè sono finita in un panifico con degli amici e ho perso il controllo” oppure i consigli Pro-Ana “Questi non sono consigli per dimagrire facendo le solite diete, ma seguendo le diete Pro-Ana a basso apporto calorico (Max. 500 Kcal)” domandatevi: chi l’avrà scritto? Poi domandatevi: è giusto trattare l’autore come un criminale? E sarebbe di una qualche utilità? Forse nel caso della sanzione pecuniaria (ma ovviamente non per il reo), ma nel caso della reclusione?

Lo strambo reato di istigazione all’anoressia, Pagina 99, 5 agosto 2014.


«Io sto con Sofia»





Sono solo alcuni di quelli che hanno abbracciato #iostoconsofia (come se qualcuno potesse stare contro Sofia - ma è la stessa strategia dei prolife: se io sono per la vita, tu che la pensi diversamente devi per forza essere per la morte).
Cartelli a parte, notevoli anche alcuni dei tentativi per giustificare il sostegno a Stamina. Perché, ovviamente, la questione è questa.












domenica 3 agosto 2014

Il nuovo «reato di istigazione a pratiche alimentari idonee a provocare l'anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare»




Onorevoli Colleghi! La presente proposta di legge si propone di attirare l'attenzione sul problema dei disordini del comportamento alimentare. Questi disordini alimentari, di cui l'anoressia e la bulimia sono le manifestazioni più note e più frequenti, sono diventati, nell'ultimo ventennio, una vera e propria emergenza nei Paesi occidentali, una piaga che attraversa tutti gli strati sociali.
Gli studi condotti in Italia sui disordini del comportamento alimentare sono ancora relativamente pochi, e per la maggior parte limitati a realtà regionali. Secondo dati aggiornati a novembre 2006 e forniti dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore di sanità, tuttavia, la prevalenza dell'anoressia e della bulimia in Italia sarebbe rispettivamente dello 0,2- 0,8 per cento e dell'1-5 per cento in linea con quanto riscontrato in molti altri Paesi.
Se poi ci si concentra sugli studi condotti nel resto dell'Europa e negli Stati Uniti d'America, i dati epidemiologici sono ancora più allarmanti. Secondo l’American psychiatric association, i disordini alimentari sarebbero la prima causa di morte nei Paesi occidentali. Colpirebbero con più frequenza le giovani donne (dai dati riportati in letteratura si evince che oltre il 5 per cento delle ragazze tra i 15 e i 18 anni presenterebbe qualche disturbo collegato all'alimentazione), ma l'età di esordio si sarebbe notevolmente abbassata, al punto che non sarebbe più raro trovare forme di disturbi alimentari anche nell'infanzia e nella preadolescenza. Sempre secondo i dati raccolti dall’American psychiatric association, la presenza dell'anoressia nelle donne e negli uomini si attesterebbe in un rapporto che oscilla tra 1 a 6 e 1 a 10. Questo rapporto cambierebbe però nella popolazione adolescente, dove i ragazzi sarebbero tra il 19 e il 30 per cento delle persone con problemi di anoressia. La difficoltà di conoscere esattamente la diffusione dei disturbi del comportamento alimentare rispetto ad altre malattie, oltre che nella complessità di uniformare gli studi, risiede tuttavia nella particolarità di questi disturbi, ossia nella tendenza delle persone affette ad occultare il proprio disturbo e ad evitare, almeno per un lungo periodo iniziale, l'aiuto di professionisti.
Il percorso che ogni adolescente deve compiere per passare dall'infanzia all'età adulta è sempre complesso. Ecco perché alcuni giovani risponderebbero a questo momento di difficoltà modificando il proprio comportamento alimentare ed esprimendo il proprio disagio attraverso vari disturbi del comportamento alimentare. La presente proposta di legge non ha però la presunzione di spiegare le origini e le dinamiche che sono alla base dei disordini alimentari, tanto più che, ancora oggi, le loro cause non sono del tutto note. Per molti esperti si tratta di sintomi risultanti dalla complessa interazione di fattori biologici, genetici, ambientali, sociali, psicologici e psichiatrici. Alcuni insistono sull'influenza negativa che possono avere un eccesso di pressione e di aspettative da parte dei familiari o, al contrario, sull'assenza di riconoscimento e di attenzione da parte di genitori, insegnanti e, in generale, delle persone adulte che hanno rapporti con i giovani. Altri sottolineano l'importanza di traumi vissuti durante l'infanzia, come le violenze e gli abusi sessuali, fisici o psicologici. Altri ancora condannano l'impatto che potrebbero avere alcuni messaggi veicolati dalla società: uno dei motivi per cui alcune ragazze inizierebbero a sottoporsi a diete eccessive sarebbe la necessità di corrispondere a determinati canoni estetici che premiano la magrezza, anche nei suoi eccessi.
Come già detto, però, non è certo compito del Parlamento interrogarsi sulle dinamiche che portano un numero sempre maggiore di persone a soffrire di disturbi del comportamento alimentare. Né è sua vocazione comprendere e contrastare le cause profonde che, anche nel nostro Paese, hanno portato al moltiplicarsi di questi fenomeni. Il compito del Parlamento è prendere atto della gravità del fenomeno; constatare il fatto che gli esperti sono unanimi nel sottolineare che le manifestazioni sintomatiche di questi disturbi sono legate all'eccessiva importanza attribuita al controllo dell'alimentazione, del peso e della forma del corpo; capire che esiste, a livello legislativo, la possibilità di contrastare in modo concreto la diffusione e la promozione dei disturbi del comportamento alimentare e di favorire misure di prevenzione e di diagnosi precoci.
La presente proposta di legge si concentra dunque proprio sui fenomeni di diffusione e promozione dei disturbi alimentari, individuando un nuovo reato d'istigazione a pratiche che incitino all'anoressia o alla bulimia – come accade ad esempio su internet, grazie soprattutto ai siti web «pro-ana» e «pro-mia».
Con l'individuazione del nuovo reato d'istigazione a pratiche alimentari idonee a provocare l'anoressia o la bulimia, si dovrebbe permettere alle Forze di polizia di agire in modo tempestivo e di mettere in atto una serie di misure di contrasto all'incitamento a comportamenti alimentari che possono minacciare gravemente la salute fino a compromettere in modo irreversibile l'integrità psico-fisica delle persone colpite e, nei casi più estremi, a provocarne la morte. Si tratta soprattutto di contrastare in maniera efficace la diffusione esponenziale dei siti «pro-ana» e «pro-mia» che, attraverso blog e chat, incitano e diffondono comportamenti anoressici e bulimici esaltando l'anoressia e la bulimia come modalità di vita.
In Italia, secondo gli ultimi dati, questi siti sarebbero oltre 300.000. Alcuni promuovono la «magrezza ad ogni costo» e celebrano il raggiungimento dei 35 chili di peso come ideale e conquista; altri hanno lo scopo di «aiutare gli altri a raggiungere i propri obiettivi, ossia la perfezione» indicando come eliminare il senso di fame utilizzando farmaci, come sopportare la mancanza di cibo, come procurarsi il vomito dopo aver mangiato, come continuare a perdere peso; altri ancora diffondono immagini o messaggi motivazionali (thinispiration), che possono assumere la forma di fotografie di modelle o personaggi famosi particolarmente magri, specificando che «il magro non passa mai di moda».

PROPOSTA DI LEGGE Art. 1. (Introduzione dell'articolo 580-bis del codice penale).
1. Dopo l'articolo 580 del codice penale è inserito il seguente: «Art. 580-bis. – (Istigazione a pratiche alimentari idonee a provocare l'anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare). – Chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, istiga esplicitamente a pratiche di restrizione alimentare prolungata, idonee a provocare l'anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare, o ne agevola l'esecuzione, è punito con la reclusione fino ad un anno e con una sanzione pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Se il reato di cui al primo comma è commesso nei confronti di una persona minore di anni quattordici o di una persona priva della capacità di intendere e di volere, si applica la pena della reclusione fino a due anni e di una sanzione pecuniaria da euro 20.000 a euro 100.000».
Non ho nemmeno la forza di commentare.