giovedì 20 aprile 2006

Sedazione terminale ed eutanasia

Su Avvenire di oggi troviamo un’intervista a don Michele Aramini, docente di bioetica, sul tema dell’eutanasia («Eutanasia? La chiede chi viene lasciato solo»). C’è un punto che presenta un certo interesse:

Perché si arriva a chiedere in determinati casi il ricorso all’eutanasia?
«C’è una prima motivazione, che di certo era più valida nel passato ma che, quando si entra in un clima di polemica, viene tirata abitualmente fuori: mi riferisco all’insopportabilità del dolore, vale a dire il rifiuto di una sofferenza che non si riesce a tollerare in prima persona oppure a far sopportare agli altri. Era la richiesta contenuta nel manifesto sull’eutanasia firmato nel 1983 da alcuni premi Nobel, che faceva leva sulla pretesa immoralità di infliggere dolore a una persona. È una richiesta superata, in quanto la terapia del dolore oggi è in grado di agire su tutte le situazioni, anche quelle più estreme, con la cosiddetta “sedazione terminale”».
Lasciamo stare l’infelice affermazione sulla «pretesa immoralità di infliggere dolore a una persona»: credo (e spero vivamente!) che Aramini si sia espresso male, o sia stato mal compreso. Concentriamoci invece sulla «sedazione terminale». L’intervistato non approfondisce l’argomento, né l’intervistatrice gli chiede di approfondirlo; di cosa si tratta, allora?
La sedazione terminale consiste nel somministrare sedativi a un paziente terminale in preda a dolori non trattabili altrimenti, provocandone la perdita della coscienza e mantenendo questa condizione fino al sopraggiungere della morte. Di norma vengono anche sospese alimentazione e idratazione, che non sarebbero più di alcun beneficio al malato, e che anzi potrebbero provocare effetti avversi, come l’edema polmonare. Spesso si ha un accorciamento nella lunghezza della vita rimanente (che sarebbe però in ogni caso molto breve).
Si è discusso e si discute sull’equivalenza morale di questa pratica con l’eutanasia. Ci sono delle ragioni – più o meno buone – per ritenerle distinte (cfr. Robert M. Taylor, «Is terminal sedation really euthanasia?», Medical Ethics 10, 2003, p. 3); ma quel che è indisputabile, è che dal punto di vista soggettivo del paziente le due cose sono identiche. Viene posto infatti in uno stato di sedazione profonda o di coma, che rappresenta senza dubbio la fine della sua esperienza cosciente, esattamente come la morte. L’eutanasia sarà anche più brutale (o forse piuttosto meno ipocrita?), ma risponde a una logica pressoché identica: di fronte a una sofferenza ineliminabile, non rimane che porre pietosamente fine alla vita, cosciente e/o biologica; e l’osservazione di Aramini, più avanti nell’intervista, che la richiesta dell’eutanasia «viene meno se una persona è trattata adeguatamente con la terapia del dolore» assume una connotazione involontariamente ironica.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Trovo interessante e utile lo spazio dedicato all'argomento. Vi segnalo il seguente link http://www.limen.biz/articolo.php?ct=GDS&id=4 a un lavoro scientifico sulla sedazione nelle cure palliative, a firma del Gruppo di Studio per la Bioetiuca e le Cure palliative della Società Italiana di Neurologia, ospitato nel sito della rivista on-line "Limen" (http://www.limen.biz), che si occupa appunto dei poroblemi medici ed etici delle cure di fine vita.
Grazie per l'attenzione e auguri di buon lavoro a tutti.
Luciano Benedetti
direttore responsabile di "Limen"